Milano - Agita gli appunti. «Di solito - attacca - io non mi preparo niente, ma questa volta ho scritto 5 o 6 pagine perché dobbiamo fare le cose per bene. Questo è un momento storico». Bandiere davanti al Duomo. Selfie. Milano, almeno per un giorno, capitale dell'Europa con undici leader dell'internazionale sovranista sul palco. Più lui, il Capitano. Sorridente e rassicurante.
«Che emozione, che emozione», grida dal palco Matteo Salvini che subito dopo dà la rotta della manifestazione: «Qui non ci sono estremisti, qui non c'è l'ultradestra, qui c'è solo il buonsenso». Una piazza moderata, una piazza in festa più che in guerra, una piazza convinta di poter conquistare l'Europa. Un drappello sparuto di contestatori fischia in continuazione, ma con scarsi risultati, un sindacalista sinistrorso vestito da Zorro, incubo giovanile del futuro astro del centrodestra, si affaccia ritmicamente da un balcone per innervosirlo, e c'è pure Carlo Calenda che conduce uno slalom solitario sul sagrato distribuendo bacchettate: «Questi sul palco sono i peggiori nemici dell'Italia». Ma sono punture di spillo che non fanno male. E il ministro dell'Interno trova a un certo punto anche l'alleato più importante: il meteo. «Avete fatto smettere di piovere», afferma notando che le gocce non bagnano più i tantissimi ombrelli aperti. «Gli estremisti - è l'artigliata - sono quelli che hanno governato a Bruxelles per vent'anni». Pausa: «Chi ha tradito l'Europa? Gli Juncker, le Merkel, i Macron, i Soros hanno costruito l'Europa della finanza e dell'immigrazione incontrollata. Basta con l'occupazione abusiva dell'Europa. Noi - azzarda il capo del Carroccio - siamo un pacifico esercito di matti come lo era Galileo che fu processato per le sue idee». E per aver scardinato un sistema che pareva immutabile.
Lo applaudono. E Salvini suona la musica che il suo uditorio vuol sentire: «Noi siamo il popolo contro le élite». Ma il ministro parla da possibile capo di un futuro governo e sta bene attento a non utilizzare toni incendiari. Anzi, cita il grande Gilbert Chesterton per smarcarsi da derive imbarazzanti: «Il soldato non è colui che odia chi ha di fronte, ma colui che ama chi è dietro di lui». Ovazione. Qualcuno per spellarsi le mani lascia cadere pure l'ombrello che ormai serve a poco.
Lui mette in fila santi, papi, patroni, come nemmeno un parroco degli anni Cinquanta. Santa Brigida, Santa Caterina, Ratzinger, Woytjla: ad un certo punto sembra di stare in chiesa e infatti, immancabile, alla fine Matteo tira fuori un rosario e lo esibisce come già aveva fatto l'anno scorso. Poi però allunga una stoccata al papa argentino: «Francesco ha detto che bisogna ridurre i morti del Mediterraneo; la politica di questo governo lo sta facendo con profondo spirito cristiano. I numeri dicono che la politica dei porti aperti ha causato quasi 15mila fra morti e dispersi. La nostra politica di rigore ha fatto scendere le vittime a meno di mille. Stiamo salvando vite». E nuovi battimani si mischiano a qualche fischio rivolto a Bergoglio.
«Il 26 maggio - è il messaggio rivolto ai militanti arrivati da tutta Italia - possiamo terminare la rivoluzione del buon senso e del sorriso». Non c'è bisogno, non oggi, di puntare il dito contro nessuno a parte qualche tirata in dosi omeopatiche come da copione. Il Capitano rivendica la legge sulla legittima difesa e quota 100 scagliando l'anatema di rito: «Stiamo smontando la Fornero pezzo per pezzo». Ma non basta. Gli altri evocano i fantasmi del passato, il pericolo nero inghiottito dalla storia, lui promette molto. Forse, pure troppo, ma Matteo si sbilancia: «L'unico modo per rilanciare il lavoro e combattere l'evasione fiscale è diminuire le tasse. E questo faremo. Al 15 per cento, perché volere è potere».
La signora Patrizia, partita addirittura da Siracusa, gli grida finché ha fiato: «Bravo». Sventolano qua e i leoni di San Marco, un volonteroso mostra un cartello toponomastico che riassume a modo suo l'offensiva giudiziaria di questi giorni: Legnano.
Un colosso dai baffoni vintage, vagamente celtico-bossiani, taglia la folla a grandi passi. I fischi, laggiù in fondo, in direzione Castello, vanno avanti ma si perdono nel frastuono. Seppelliti, al momento del congedo, dal grande abbraccio fra il vicepremier e Marine Le Pen.
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