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Salvini "sequestratore". Il silenzio di Pd e M5s

Neppure i suoi avversari ci credono davvero. Matteo Salvini è accusato di sequestro di persona e tra le sue vittime c'è anche un minorenne

Salvini "sequestratore". Il silenzio di Pd e M5s

Neppure i suoi avversari ci credono davvero. Matteo Salvini è accusato di sequestro di persona e tra le sue vittime c'è anche un minorenne. Verrà processato e rischia fino a 15 anni di carcere. Il resto non conta. Non importa che tutto questo nasca dalla scelta di un ministro di non far entrare in porto una nave spagnola, la Open Arms, con a bordo 147 clandestini. Non ha alcun peso il comportamento degli altri ministri. Nessuno in quel governo fermò Salvini. Non fu sconfessato con un atto formale. Non fu ripudiato. Non fu cacciato. In quel momento furono tutti ignavi o complici. Tutto questo però ormai è superfluo. La realtà è che un confine è saltato: le scelte politiche possono essere processate. Ora ognuno dovrà farci i conti. Non saranno più gli elettori a giudicare i governi. Toccherà ai tribunali.

Cosa rispondono gli avversari politici di Salvini, quelli che comunque ora sono con lui nella stessa maggioranza? Nicchiano, prendono tempo, qualcuno sta zitto, altri se la cavano anticipando la sentenza: tanto non verrà mai condannato. Enrico Letta indossa la felpa griffata Open Arms e poi si scusa. Qualcuno invece si preoccupa di non lasciarsi più invischiare in questa storia. È il caso di Danilo Toninelli. L'allora ministro dei Trasporti avrebbe dovuto avere l'ultima parola sui porti, ma si sfila di lato e lascia la parola ai suoi avvocati: «La difesa di Salvini è un malaccorto scaricabarile». Segue annuncio di querela. Toninelli, Conte e i Cinque Stelle temono soprattutto il contagio. A nessuno venga in mente di associare il loro nome a quello del «presunto sequestratore».

Il problema però resta. Viene in mente Canzone del maggio di De André: «Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti». No, non in tribunale. Questa volta è andata così. La giustizia non ha visto il primo governo Conte. Non ci ha fatto caso. È che il processo Salvini segna un punto di non ritorno. I confini della politica diventano angusti. Ogni azione di governo passa per la discrezionalità dei giudici. Ci sarà uno di qua che può dire sì e uno di là che ti chiama a giudizio. Non c'è una certezza della norma, ma tutto dipende dall'interpretazione. Il risultato è che i governi meno coraggiosi sceglieranno di stare fermi. È da lì che forse viene la strategia del «morto a galla» di Conte durante la pandemia. Se non fai nulla non rischi nulla.

Questi rischi sono stati denunciati da Forza Italia, da Renzi e anche dalla Meloni, l'unica che comunque per ora sta all'opposizione, ma cosa ne pensa per esempio il Pd? La sensazione è che nel partito di Letta si preferisca non parlarne troppo. Non è che non sono coscienti di quello che sta accadendo. C'è perfino un po' di imbarazzo, ma ritengono che questo a loro non potrebbe mai accadere. Non hanno neppure tutti i torti. La giustizia spesso è strabica. Il guaio semmai è come porsi adesso di fronte al «presunto sequestratore». Ne hanno parlato con Draghi? No, non sembra. Il rinvio a giudizio di Salvini non sta mettendo a rischio il governo. Non si è alzato ancora nessuno a gridare: non possiamo stare in maggioranza con il bandito. È il segno che nel Pd il sospetto che l'ipotesi di reato non regga in qualche modo resiste. Li soccorre un residuo di garantismo, una libbra di presunzione di innocenza. Meglio prendere tempo. Se ne parlerà a settembre, quando comincia il processo. L'indignazione tornerà con il semestre bianco, quando Draghi perderà lo scudo che finora lo ha protetto dalle risse di partito.

Fino ad allora governare con la Lega non sarà peccato.

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