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Ma la sanzione vale per il reato e non per il reo

Far pagare multe più salate ai ricchi. Un'idea che circola nelle stanze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e anticipata ieri dal viceministro Galeazzo Bignami

Ma la sanzione vale per il reato e non per il reo

Far pagare multe più salate ai ricchi. Un'idea che circola nelle stanze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e anticipata ieri dal viceministro Galeazzo Bignami, intervenuto alla presentazione del Rapporto Dekra sulla sicurezza stradale. Un'idea di indubbia presa, soprattutto sulle fasce meno educate della popolazione, con cui da tempo si preferisce stare in sintonia piuttosto che assumersi l'onere di accrescerne la sensibilità civica. Nella sostanza, un'idea che stride con alcuni aspetti della nostra civiltà. Niente di fondamentale, intendiamoci, giusto l'art. 7 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: «Tutti sono eguali dinanzi alla legge». Ripreso poi, quando si dice le coincidenze, dalla Costituzione della Repubblica, su cui il viceministro pure ha giurato, che all'art. 3 impone che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, () senza distinzione di condizioni personali e sociali». È vero che se sei più ricco paghi più tasse, ma la contribuzione alla fiscalità incarna un altro principio, quello della solidarietà sociale al sostegno delle spese che competono allo Stato. Evidentemente, per qualcuno si tratta di una punizione. Dev'essere stato questo equivoco a far scattare la scintilla che ha illuminato le stanze del Ministero e dei suoi consiglieri legislativi. Secondo il viceministro Bignami, «se la sanzione ha evidentemente una natura anche afflittiva, una persona che ha un reddito più elevato può evidentemente essere afflitta da un punto di vista di contrasto ai fenomeni di sicurezza stradale con una sanzione più elevata». Ma per quanto la natura della sanzione possa essere oggettivamente afflittiva, non lo è la sua finalità. Nella nostra civiltà giuridica pene e sanzioni amministrative non perseguono la sofferenza del reo, ma il risarcimento della collettività o, nel diritto penale, la rieducazione del reo. Tuttavia, a lasciare perplessi non è la crepa nel sistema giuridico paventata dal viceministro, che tanto non passerebbe mai, quanto proprio che l'abbia immaginata e pubblicizzata. L'Italia ha un patrimonio di civiltà sociale e giuridica enorme.

La sfida è renderlo disponibile a tutti, «senza distinzione di condizione personale», dal più modesto dei cittadini fino ai vertici delle istituzioni.

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