"Sarò inclusiva". Così ha tradito il mandato

Non parla di terrorismo, solo di "genocidio". Anche nel suo report

"Sarò inclusiva". Così ha tradito il mandato
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"Durante il suo mandato come relatrice speciale, Francesca Albanese si sforza di mantenere imparzialità e inclusività". Le "ultime parole famose", quelle che si leggono sul profilo della "rapporteur" Onu che è diventata star e "sacerdotessa" del movimento pro Pal.

Sì perché tutto si è visto tranne che uno "sforzo di imparzialità e inclusività" in questa girandola di eventi, dichiarazioni, ospitate televisive e post social. Anche a volerlo leggere come un proposito, non si può dire che sia stato mantenuto.

Il suo ultimo rapporto, "Dall'economia dell'occupazione all'economia del genocidio", infarcito di ideologia e velleità, cita 59 volte la parola "genocidio", mentre non si ravvisa alcun riferimento ad Hamas.

L'incarico è riferito ai "territori occupati" e Gaza, prima della guerra scoppiata dopo il 7 ottobre, non era occupata dal 2005. Ma è anche della Striscia che Albanese continua a parlare, con l'oltranzismo che ora tutti vedono. È un'incaricata e non un funzionario Onu, la relatrice "sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati". Ma l'indipendenza è politica è prerequisito di un mandato di questo genere. E Albanese - dopo qualche incertezza sul titolo di "avvocato" - sfoggia grandi competenze da "giurista" ma poi scende in campo da politica, anche se per ora al di fuori dei partiti.

Il suo profilo, visibile nella pagina dell'Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni unite, rimanda direttamente ai profili social in cui pare un'influencer anti-Israele e pro boicottaggio, misura che chiede anche nei suoi rapporti

La pagina ufficiale in inglese, dopo il generico rimando all'imparzialità, sottolinea "che la vera imparzialità non può essere né ignoranza né indifferenza" (parola non casuale, vedremo). E avverte che l'imparzialità "implica indagare oggettivamente i fatti attraverso la lente del diritto internazionale e riconoscere e affrontare - anziché negare o ignorare - gli squilibri di potere sottostanti o le ingiustizie storiche". Punta molto su questa ambivalenza, Albanese: l'incarico è tecnico, viene interpretato politicamente senza porsi problemi di equilibrio, ma quando qualcuno la critica torna a rivendicare la sua dimensione da specialista, come se questa la mettesse al riparo da ogni contraddittorio, rendendola insuscettibile a ogni critica. E due sono i temi che Albanese non è disponibile a discutere. Il primo, imbarazzante, è la natura - terroristica - di Hamas. "Il fatto che possa commettere azioni terroristiche non la qualifica come gruppo terroristico" ha spiegato in un acceso confronto tv. L'altra questione, invece, è fuori discussione in quanto assunto incontestabile. Una sorta di dogma: il "genocidio". Ed è su questo che si innesta il nodo del suo rapporto con la figura di Liliana Segre. Albanese ha prima tradito un moto di insofferenza per la senatrice a vita, poi - pur professando "grande "rispetto - ha usato nei suoi confronto un tono liquidatorio e sgradevole nell'intervista in cui l'ha definita "non lucida", prendendo in prestito l'immagine di un sopravvissuto a una malattia che non viene interpellato per fare diagnosi.

E c'è il precedente: "La giurista aveva postato una sua immagine davanti a un murale con il volto di mia madre e la parola Indifferenza" ricorda il figlio della senatrice, Luciano Belli Paci, in un'intervista Corriere, definendola in pratica "ossessionata" dalla madre.

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