"Sbaglia chi si rifugia sull'Aventino. Ma occhio a non annacquare la riforma"

Il giurista: "Il Pd non dialoga perché è in competizione coi 5 Stelle a sinistra. L'accordo a tutti i costi è un male: alcune forme di premierato non servono"

"Sbaglia chi si rifugia sull'Aventino. Ma occhio a non annacquare la riforma"
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«Che ci sia necessità di riforme è assolutamente evidente». Il giurista Giovanni Guzzetta auspica che stavolta il percorso riformista intrapreso dal governo Meloni porti i frutti sperati e crede che «dovrebbe augurarselo chiunque abbia a cuore il destino del Paese».

Meloni riuscirà dove Renzi ha fallito?

«Abbiamo alle spalle mezzo secolo di tentativi, tutti falliti, su cui si sono cimentate maggioranze di ogni orientamento politico. La Meloni ha dimostrato di essere una politica molto determinata e disponibile ad assumersi rischi anche costosi. Questi sono ingredienti fondamentali, ma le variabili in gioco sono tante. La più grande difficoltà credo sarà trovare l'equilibrio tra la disponibilità al compromesso offerto con l'apertura alle opposizioni e la capacità di tenere sui punti fermi qualificanti la riforma, senza i quali essa verrebbe svuotata e diverrebbe inutile rispetto ai gravi problemi che bisogna risolvere».

Elly Schlein, sembra pronta all'Aventino. Lei cosa ne pensa?

«Credo sia un errore perché, se l'obiettivo è quello di far fallire le riforme, tutti ne sarebbero vittime. Anche l'opposizione qualora un domani vincesse le elezioni. Se invece la contrarietà è di merito, non cogliere l'occasione per far valere le proprie ragioni, mi parrebbe un errore ancora più grave anche di fronte ai propri elettori. La mia sensazione è che questa posizione sia motivata da ragioni politiche e dalla competizione interna alla sinistra per l'egemonia sul proprio elettorato. L'effetto però è alimentare una contrapposizione elettoralistica con il M5S giocata soprattutto sull'eccellere nell'opporsi».

Il Pd considera le riforme sociali più importanti di quelle costituzionali. Ma non hanno entrambe la stessa importanza?

«Mi sembra un argomento per buttare il pallone in tribuna. Le riforme istituzionali sono il motore e lo strumento perché le altre riforme, a cominciare da quelle sociali, possano essere fatte. Se mi consente una metafora, è evidente che la produttività di un campo è molto diversa se lo coltivo con l'aratro trainato dai buoi o con un trattore di ultima generazione. Oggi, pensando alle istituzioni, l'Italia si trova ancora ai tempi dell'aratro».

La posizione del Terzo Polo è più responsabile?

«Mi pare una posizione aperta al dialogo, ma anche nel Terzo polo ci sono posizioni diverse. Una cosa è il premierato forte, altra è la soluzione di introdurre la sfiducia costruttiva, istituto a mio parere del tutto inadeguato a risolvere i problemi italiani. E del resto molto marginale anche negli ordinamenti che la prevedono».

Qual è la forma di governo su cui è più facile l'accordo?

«È difficile dirlo. Il vero problema è che, a differenza del semi-presidenzialismo alla francese, il premierato può essere declinato in tante versioni. Alcune di queste mi sembrano efficaci per risolvere i problemi, altre del tutto inutili. La questione è dunque evitare che, per raggiungere l'accordo, si finisca per ripiegare su soluzioni troppo annacquate».

Come raggiungere l'obiettivo? Bicamerale o articolo 138?

«Abbiamo provato entrambe le soluzioni, ma sono più volte fallite. Non esiste il metodo perfetto.

Sostengo l'idea che si dovrebbe anticipare il dibattito parlamentare, prevedendo un referendum preventivo che definisca i tratti essenziali del modello così da indirizzare il processo verso un obiettivo legittimato. Credo che la scelta tra bicamerale e art. 138 sia fondamentalmente politica, ma non mi pare che le divergenze politiche reali siano sul metodo».

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