Gli sbarchi ormai sfiorano quota 50mila. Verso il record negativo siglato sette anni fa dai governi di sinistra

Peggio che mai. Peggio persino del 2016 autentico "annus horribilis" degli sbarchi quando sulle nostre coste arrivarono oltre 181mila migranti. Le statistiche da questo punto di vista sono impietose

Gli sbarchi ormai sfiorano quota 50mila. Verso il record negativo siglato sette anni fa dai governi di sinistra
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Peggio che mai. Peggio persino del 2016 autentico «annus horribilis» degli sbarchi quando sulle nostre coste arrivarono oltre 181mila migranti. Le statistiche da questo punto di vista sono impietose. Al 31 maggio del 2016 - con Matteo Renzi premier e Angelino Alfano all'Interno - il Viminale contò 47mila 883 arrivi. Quest'anno le statistiche del Viminale ne registrano 47mila 750 al 26 maggio. Senza contare però gli ingenti arrivi di questo fine settimana e i 602 migranti della Geo Barents, la nave di «Medici Senza Frontiere» attesa a Bari domani mattina. A conti fatti il totale degli sbarchi al 31 maggio supererà dunque quota 49mila. Quanto basta per arrivare al 31 dicembre con oltre 182 mila sbarchi e fare del 2023 l'anno peggiore nella storia degli sbarchi. I dati sono eloquenti. Fino al 2011 - quando l'intervento Nato in Libia e la caduta di Gheddafi spinsero sulle nostre coste 64mila persone - gli sbarchi non superarono mai quota 40 mila. Ma i 181mila migranti del 2016 furono il risultato di una situazione politica che non prevedeva alcuna prevenzione. Il governo Renzi pur di farsi perdonare dall'Europa gli sforamenti di bilancio accettò di trasformare l'Italia in una sorta di campo profughi ed evitò qualsiasi misura di contenimento. Sotto la regia di Angelino Alfano, ma soprattutto di Graziano Delrio da cui dipendeva il Ministero delle Infrastrutture, la Guardia di Costiera si trasformò in una sorta di servizio traghetti pronto a garantire il trasporto a qualsiasi barcone messo in acqua dagli scafisti. Per non parlare dell'aperta collaborazione con le prime navi delle Ong celebrate, al tempo, come le «fate turchine» del Mediterraneo. Dunque è inevitabile chiedersi come mai oggi - nonostante un governo deciso a fermare gli sbarchi e le numerose azioni anche pregresse di contenimento tra cui i limiti imposti alle Ong e la nascita, nel 2017, della Guardia Costiera Libica - la situazione stia precipitando a livelli peggiori di sette anni fa.

Una prima risposta arriva dalla Tunisia. A quel tempo il paese non era al collasso economico e le partenze restavano contenute. Oggi invece i 3mila 300 arrivi dalle sue coste fanno della Tunisia il sesto paese d'origine dei migranti. Ma sette anni fa la situazione era diversa anche in Libia. Le partenze si concentravano a ovest di Tripoli sui 116 chilometri di costa verso Zuwara e, ad est, sui 60 chilometri in direzione Castelverde. In pratica non esistevano partenze dalla Cirenaica. Oggi invece una situazione di totale instabilità e crisi politica spinge il generale Khalifa Haftar e i suoi rivali locali ad approfittare del traffico di uomini per garantirsi entrate in euro e dollari. E ad incrementare gli arrivi s'aggiungono gli insuccessi francesi in un Sahel e in un'Africa occidentale dove i gruppi islamisti avanzano mettendo in fuga le popolazioni locali. Non a caso al primo posto tra gli arrivi in Italia ci sono quest'anno 7mila 380 migranti della Costa d'Avorio e 5mila 996 della Guinea. Per non parlare del minore controllo esercitato dall'Italia su un Guardia Costiera di Tripoli sempre più sensibile all'influenza turca in Libia.

In tutto questo l'Italia per assolvere alle richieste di pattugliamento del Mediterraneo nel contesto della contrapposizione Nato-Russia ha dovuto rinunciare, dal maggio 2022, al prezioso monitoraggio del traffico di uomini garantito da Mare Sicuro, la missione navale che impiegava sei unità navali lungo le coste libiche e tunisine.

Come se non bastasse il traffico di uomini ha preso nuovo vigore in Egitto e in Turchia.

Per capirlo bastano i 4mila 596 arrivi dal Bangladesh e i 4mila 342 dal Pakistan. Da quei due paesi, ricordiamolo, non si parte in gommone, ma a bordo di voli charter diretti verso i porti dell'Egitto e della Turchia dove attendono i trafficanti di uomini.

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