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Scambio di provette: muore in ospedale per una cura sbagliata

Accusati di omicidio colposo 4 medici: l'errore causato da un'omonimia con un altro paziente

Scambio di provette: muore in ospedale per una cura sbagliata

Carenze d'organico croniche, medici e infermieri massacrati da turni impossibili, stanchi e distratti. E poi le macchine, quei computer che producono il frutto dell'approssimazione e troppo spesso anche della superficialità umana. Figurarsi poi se si ha la sfortuna di trovarsi ricoverati in un corsia con un paziente col tuo stesso cognome. Malanni simili, farmaci diversi, controlli, dosaggi e terapie da verificare ogni giorno. Facile, l'errore, la confusione. Solo che in questo caso lo sbaglio sarebbe costato la vita di un uomo. Potrebbe sintetizzarsi così il perché della fine di Alberto Giacobbi, 76 anni, storico cadorino già presidente dell'Istituto per la storia del Risorgimento italiano, deceduto all'ospedale di Pieve di Cadore il 9 maggio del 2014. Morto per uno scambio di provette, per una terapia sbagliata causa omonimia. Non è la prima volta, probabilmente non sarà l'ultima visto come funziona l'italica malasanità.

Ce n'erano due di Giacobbi tra quei letti d'ospedale. Adesso quattro medici andranno a processo accusati di omicidio colposo. Colpa di uno scambio di provette, una terapia diversa da quella richiesta, secondo l'accusa. Risultato: un dosaggio inferiore di un anticoagulante avrebbe provocato, due emboli, un infarto e un'emorragia cerebrale al paziente ricoverato per una «banale» seppur grave lombosciatalgia: un dolore del nervo sciatico, che colpisce la zona vertebrale lombare e si estende fino ai glutei, alle gambe, fino ai piedi. Può immobilizzare, ma non è letale. In un primo momento, Giacobbi era stato portato al Codivilla di Cortina, una struttura specializzata. Ma, poche ore dopo, venne dimesso e rimandato a casa, malgrado fosse in condizioni così critiche da dover richiedere l'intervento dei vigili del fuoco, per salire le scale dell'appartamento. Qualche giorno dopo, il 15 aprile il ricovero all'ospedale di Pieve. E qui l'epilogo tragico. La salma è stata riesumata per effettuare nuove perizie, sul banco degli imputati siedono i medici Roberta Da Re, Daniele De Vido, Paolo Nai Fovino e Federica Vascellari, tutti rinviati a giudizio. Quest'ultima aveva in cura il paziente, mentre i primi tre l'avevano visitato. Del resto si va a turni, tocca a tanti prendersi cura dello stesso paziente in questa catena di «montaggio» che sono i nostri ospedali. E in cui pazienti diventano numeri.

L'allora direttore medico Raffaele Zanella avrebbe confermato l'errore dello scambio di provette. I difensori dei camici bianchi sostengono, però, che la causa del decesso non sia imputabile alla «distrazione», ma semmai vada ricollegata a problemi cardiaci del malato. A qesto punto l'ultima parola spetterà ai consulenti. Il giudice Coniglio ne nominerà due che saranno chiamati a rispondere alla controversia: si tratta di un medico legale e di un cardiologo.

Nel frattempo, venerdì 24 saranno sentiti quattro testimoni: due dell'accusa, altrettanti della difesa.

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