Scattone rinuncia alla cattedra «Ormai non sono più sereno»

L'ex ricercatore fa retromarcia: non insegnerà psicologia a Roma. La madre della vittima: «Contenta per i ragazzi»

Alla fine ha fatto retromarcia. Troppo rumore su quella cattedra tanto desiderata e arrivata dopo anni di precariato grazie alla riforma della Buona Scuola. Giovanni Scattone non insegnerà psicologia all'Istituto professionale Einaudi di Roma. «Non sono sereno, rinuncio», dice. Il fatto che abbia scontato la sua condanna per l'omicidio (colposo) di Marta Russo, uccisa da un colpo di pistola mentre passeggiava in un viale de La Sapienza il 9 maggio del 1997, quando lui era un giovane assistente universitario, non ha impedito che la notizia del nuovo incarico scatenasse una valanga di polemiche. A partire dalla mamma di Marta Russo che si è subito detta sconvolta dal fatto che Scattone, con i suoi trascorsi e nonostante non abbia mai chiesto perdono, possa fare l'educatore e per di più con il posto fisso.

Scattone non ha nemmeno fatto in tempo a gioire per quel posto. Ha provato a replicare alle accuse, ha anche partecipato al collegio dei docenti nel nuovo istituto. Sembrava fatta, poi ha cambiato idea, come era già successo nel 2011 quando decise di abbandonare una supplenza di Storia e Filosofia al liceo Cavour, lo stesso dove aveva studiato Marta Russo. «Se la coscienza mi dice di poter insegnare, la mancanza di serenità mi induce a rinunciare all'incarico. Con grande dolore ed amarezza devo constatare che di fatto mi si vuole impedire di avere una vita da cittadino “normale”», spiega. Il fatto è che l'ex assistente non ha mai ammesso di essere colpevole, si è fatto due anni e 4 mesi in carcere, poi ha finito di scontare la condanna, che non prevedeva l'interdizione dai pubblici uffici, ai servizi sociali. Ma sempre proclamandosi innocente, motivo per il quale dice di non aver mai chiesto perdono ai genitori della vittima. «La mia innocenza, sempre gridata - spiega - è pari al rispetto nei confronti del dolore della famiglia Russo. Ho rispettato, pur non condividendola, la sentenza di condanna. Quella stessa sentenza mi consentiva, tuttavia, di insegnare. E allora sarebbe stato da paese civile rispettare la sentenza nella sua interezza». E ancora: «Ho sempre ritenuto che per essere un buon insegnante si debba innanzitutto essere persona serena. Oggi, in ragione di queste polemiche, non ho più la serenità che mi ha contraddistinto nei dieci anni di insegnamento quale supplente: anni caratterizzati da una mia grande soddisfazione anche e soprattutto legata al costruttivo rapporto instauratosi con alunni e genitori. E allora se la coscienza mi dice, come mi ha sempre detto, di poter insegnare, la mancanza di serenità mi induce a rinunciare all'incarico per rispetto degli alunni che mi sono stati affidati».

In realtà i risultati di un'indagine effettuata da Skuola.net su 1.500 studenti dicono che sette su dieci non sarebbero disposti ad averlo in cattedra. Nessun problema, invece, per il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini che si è schierata al fianco di Scattone dicendo che sarebbe tranquilla se sua figlia studiasse nella scuola dove insegna. Aureliana e Donato Russo sono invece molto soddisfatti: «Siamo contenti, non per vendetta, ma per gli studenti che non avranno come insegnante una persona così inadatta a fare l'educatore. Uno che continua a negare una colpevolezza appurata da tre gradi di giudizio non può educare.

Detto ciò non saremo noi a fermarlo, è un uomo libero per la legge». L'avvocato di Scattone, Giancarlo Viglione, «spera vivamente che ci ripensi». Per don Mazzi, fondatore della comunità Exodus, Scattone «ha regolato i suoi conti con la giustizia, è giusto che lavori».

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