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Una scia di sangue lunga settant'anni

Il primo a cadere fu un finanziere a colpi di scimitarra. L'orrore fu in Congo

Una scia di sangue lunga settant'anni

I caduti italiani in missione all'estero dal secondo dopoguerra in poi sono moltissimi. Il primo fu, nel 1949, il finanziere Antonio Di Stasi, ucciso in Eritrea da banditi che lo trafissero con colpi di scimitarra. Fu solo la partenza di una lunga scia di sangue che nei decenni ha visto morire, in missione di pace in nome della Patria, centinaia di soldati.

Per citarli tutti, assieme alle loro storie, occorrerebbe un'enciclopedia. E moltissimi sono anche i feriti. I fatti che si ricordano di più sono quelli di Kindu, dove nell'eccidio persero la vita 13 aviatori della 46esima Brigata aerea dell'Aeronautica militare, trucidati in Congo. Mogadiscio, 2 luglio 1993, Checkpoint Pasta: nello scontro a fuoco morirono 3 militari e altri 22 rimasero feriti, tra questi l'allora sottotenente Gianfranco Paglia, medaglia d'oro al valore militare. Nassiriya, 12 novembre 2003. In uno dei primi attentati nella città irachena morirono 28 persone, tra cui 19 italiani. Nel corso dell'operazione Antica Babilonia molti furono i caduti italiani a causa di attentati terroristici o incidenti sul campo. Afghanistan, missione Isaf: sono 54 i morti in missione. Le famiglie ancora oggi chiedono di ricordarli, ma lo Stato sembra averli dimenticati.

«Caduti e feriti - racconta l'ex comandante del Coi (comando operativo di vertice interforze), generale Marco Bertolini - ci sono perché ci troviamo in zone sostanzialmente se non in guerra comunque interessate da situazioni conflittuali molto difficili dove sono le armi a essere utilizzate per affrontare i problemi. Spesso dimentichiamo: è come se facessimo finta di non saperlo, ma abbiamo militari che operano in zone dove c'è un'opposizione armata al governo che i nostri cercano di supportare». E prosegue: «In Iraq siamo per dare una mano al governo iracheno che ancora fronteggia lo Stato islamico e i nostri addestrano i militari locali. Ne vale la pena? Il nostro non è un piccolo Paese, ma è immerso in una fetta di mondo molto turbolenta e non possiamo far finta di essere in mezzo all'Atlantico o sulla luna. I fatti nostri, purtroppo - conclude - sono anche questo, perché quello che accade laggiù può avere ripercussioni anche da noi».

Oltre ai caduti nelle varie missioni di pace abbiamo anche numerosi feriti, molti dei quali oggi fanno parte del gruppo sportivo paralimpico Difesa, che ha ottenuto numerose medaglie in varie discipline. I militari italiani che operano all'estero sono 6.290 stabili e un migliaio in flessibilità (ovvero che operano per un tempo limitato). Il 46 per cento del totale è impiegato in Asia, il 34 in Europa e il 20 per cento in Africa. Le missioni attive allo stato attuale sono in Iraq, Afghanistan, Libano, Kosovo, Somalia, ma abbiamo militari anche in Palestina, Libia, Tunisia, Egitto, Gibuti, Mali, Niger, Somalia, Repubblica Centrafricana, W.

Sahara, Albania e sulle navi per l'operazione Mare Sicuro.

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