La sconfitta della cultura francese che amava Battisti

Sabato tutto il mondo, oltre all’Italia ha gioito quando il terrorista Cesare Battisti è stato catturato in Bolivia. Ma non tutti sono stati felici di questo epilogo

La sconfitta della cultura francese che amava Battisti

Il fatto stesso che Cesare Battisti sia stato catturato quando i venti politici dell’Europa e del mondo sono cambiati, la dice lunga sulle protezioni occulte, la condivisione silenziosa dei tanti anni di latitanza, di quello considerato uno dei terroristi più sanguinosi capaci di uccidere a sangue freddo senza avere un minimo di ripensamento neanche dopo tanti anni.

Prima tra tutti la Francia, o meglio una parte della Francia, quella intellettuale che nel 2004 firmò, insieme a molti esponenti della cultura italiana, una lettera appello dove si difendeva la sua libertà di parola visto che nel frattempo aveva dato alle stampe numerosi testi conquistando una parte della cultura convinta di poter lavare il sangue con l’inchiostro. Ma questo non fa di lui una vittima, non fa di lui una persona da proteggere, e soprattutto non fa di chi gli ha dato asilo e protezione un giudice super partes. La cosa che più disturba è che nonostante le condanne, le vittime, il sangue lasciato sulla strada, ancora oggi c’è chi pensa che l’Italia sia un Paese arrogante e culturalmente poco sensibile.

In tutta la sua latitanza, è come se le decisioni del nostro Paese, fossero state ignorate da tutti. Come se la nostra parola fosse quella di un pulcinella intento a mangiare spaghetti: una farsa. E’ pur vero che tra noi e i nostri cugini francesi non scorre buon sangue, che veniamo visti come capaci solo di suonare i mandolini, ma l’arroganza di una parte di cultura di nicchia cieca e presuntuosa che pensa di sapere, conoscere, giudicare e assolvere è una cosa intollerante, eticamente orribile e poco rispettosa. Non esistono vittime che possono essere dimenticate, non esiste lavare il sangue con il sapere e non esistono giudici intellettuali.

L’arresto di Battisti, avvenuto ora, è il segno di una volontà di cambiamento, di voler sradicare vecchie culture arroccate sulla presunzione, sul considerare la gente come gregge sacrificale in nome di ideologie violente e inutili che nulla hanno a che fare con la reale volontà di evoluzione.

Che la musica sia cambiata è sotto gli occhi di tutti e mi viene da chiedere se l’odore acro del fumo dei gilet gialli possa arrivare nei piani alti di eleganti appartamenti francesi dove si è ancora convinti che bastano poche gocce di costoso profumo per spegnere il fuoco.

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