È scontro sulle liste Pd Orlando contro Renzi Slitta la Boschi a Bolzano

Direzione fino a notte fonda, battaglia tra le correnti. Poi c'è l'accordo con la minoranza

C'è chi si lancia senza paracadute, come Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera, un vero sportivo: «Caro Matteo, non voglio essere un tappo, rinuncio al plurinominale, lasciamela giocare senza rete. Il collegio 10 è di quelli persi, ma io ci credo». E c'è una paracadutata, come Maria Elena Boschi, che deve invece rimandare a lunedì il suo atterraggio in terra altoatesina. Allarme rosso, il Pd è in panne, le liste sono in alto mare. Le minoranze, insoddisfatte dei pochi collegi sicuri a disposizione, danno battaglia. Riunioni, veti, elenchi, cancellature. «Andremo avanti per tutta la notte», racconta Dario Franceschini, anche se poi a notte la mezza fumata bianca arriva.

Il ministro dei Beni Culturali, azionista di maggioranza del partito, pensa che alla fine un accordo si troverà. Lui però è tra quelli che si rendono conto che non è più tempo di vacche grasse e che, con la nuova legge elettorale, come dicono al Nazareno, tutte le correnti «dovranno fare dei sacrifici». La questione è proprio l'entità e la ripartizione di questi «sacrifici». Stando a quanto si dice, la segreteria ha offerto una quindicina di posti «buoni» all'area di Andrea Orlando e appena sei o sette a quella di Michele Emiliano. Una proposta giudicata insufficiente dalle due minoranze. I diversi tentativi di mediazione si sono avvicendati. Così la riunione della direzione, convocata per la mattina, continua slittare: ore dieci, ore sedici, ore venti, ore 22,30. Comincia, davvero. C'è anche Orlando. E «fonti Pd» fanno sapere: c'è l'accordo con la minoranza.

Al Nazareno per tutto il giorno «un confronto molto duro», perché a quanto pare il problema non è soltanto «quanti» ma «chi». Dalle parti del Guardasigilli definiscono «inaccettabile l'ingerenza» sui nomi che ci sarebbe dallo stato maggiore del partito. Renzi infatti vorrebbe tenere fuori dalle liste diversi esponenti orlandiani di peso.

Il segretario sta cercando di «rinnovare» l'immagine del Pd candidando volti nuovi, e pensa che anche le altre componenti debbano porsi lo stesso obiettivo, presentando «proposte innovative». Gli alleati Franceschini e Martina sono d'accordo. Orlando invece resiste per tutto il giorno. Il ministro della Giustizia non si fida di Matteo, pensa che dietro tanto «rinnovamento» ci sia l'intenzione di eliminare personaggi che la minoranza interna considera simbolo delle proprie battaglie. Ad esempio l'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, che arriva in Direzione e ai giornalisti che gli chiedono se sarà fuori dalle liste risponde: «Così pare». Oltre a lui in bilico Andrea Martella e Marco Di Lello, il portavoce della campagna congressuale di Orlando, Marco Sarracino, e il senatore Sergio Lo Giudice, ex presidente dell'Arcigay. «È in atto un'ulteriore renzizzazione del Pd», si lamentano. Una specie di mini-congresso sulle liste.

Dal fronte renziano si cerca di circoscrivere. «Nessun veto agli altri, stiamo lavorando insieme per individuare le candidature che possano avere maggiori possibilità di vittoria», minimizza Lorenzo Guerini.

Anche Andrea Marcucci smorza: «Dobbiamo individuare i candidati migliori per ogni collegio, tenendo conto di tutte le esigenze di una coalizione ovunque competitiva. Nessun psicodramma, solo qualche ora in più per arrivare all'obiettivo». La notte è lunga.

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