La scure di Fitch sull'Italia «Il governo non durerà» Incubo spread a quota 290

L'agenzia conferma il voto sul debito, ma declassa l'outlook: nel mirino i provvedimenti senza copertura

Fitch non manda ancora l'Italia all'inferno, facendola precipitare con un taglio del rating nella bolgia infernale dei Paesi con scarsa affidabilità finanziaria, ma poco ci manca. Per il momento ci accomodiamo in purgatorio, in attesa di conoscere il nostro destino. Che non pare roseo, dopo l'avviso recapitato ieri in tarda serata. L'agenzia di valutazione ha fatto scivolare l'outlook tricolore da «neutrale» a «negativo», segno di un deterioramento economico in atto che potrebbe preludere a un prossimo declassamento del nostro debito. Un cartellino giallo in piena regola sventolato sotto al naso del governo Lega-M5s. Il cui operato viene bocciato su tutta la linea, e senza appello: pollice verso nei confronti di provvedimenti senza coperture, destinati a far esplodere il disavanzo; forte preoccupazione per i contrasti crescenti fra Roma e Bruxelles che stanno di fatto ingessando la costruzione di architetture delicate come l'unione bancaria e condizionando anche la gestione dei migranti. Non solo. La paralisi arriva anche a colpire le banche italiane, con il processo di smaltimento delle sofferenze (i crediti di difficile riscossione) che ha subìto una frenata. Con un affondo velenoso riservato alla possibile durata dell'esecutivo giallo-verde: «Non prevediamo che questo governo possa concludere un intero mandato, e prevediamo una crescente possibilità di elezioni anticipate a partire dal 2019».

È un quadro cupo, che conferma le anticipazioni già filtrate nei giorni scorsi e che è destinato ad alzare ancor più la guardia dei mercati. Dove ieri, ancora prima della diffusione del rapporto sulla Credit Worthiness, lo spread tra Btp e Bund si è impennato fino a 293 punti dai 285 di giovedì scorso, con un effetto di trascinamento verso l'alto dei rendimenti del BTp decennale, salito dal 3,20 al 3,26%. Un pessimo viatico in vista delle prossime aste previste per mercoledì 12 settembre, quando il Tesoro dovrà trovare chi è disposto a compare Bot, e per giovedì 13, quando andranno in asta Btp e Cct. Il rischio è quello di un'ulteriore ascesa dei tassi che andrebbe a impattare sulla spesa per interessi. L'altro ieri, l'ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, ha stimato in 6 miliardi la maggior spesa per interessi nel biennio 2018-19 derivante dall'aumento dei differenziali tra i nostri titoli poliennali e quelli tedeschi.

Resta ora da vedere se il caveat di Fitch indurrà il governo ad anticipare la nota di aggiornamento del Def. Offrire maggiore chiarezza sui provvedimenti economici, magari già la prossima settimana, potrebbe essere utile. Soprattutto per sperare che in futuro, quando verrà presa la decisione sul nostro rating (attualmente «BBB», a sole due tacche dal livello spazzatura che impedirebbe alla Bce e a molti fondi l'acquisto dei bond italiani), sia rivisto un giudizio pesante come questo: «La tentazione di lanciare iniziative costose senza copertura - spiega Fitch - porterà il deficit al limite di rottura. Le banche, in un clima di incertezza, hanno rallentato il ritmo di smaltimento dei crediti in sofferenza. La contrapposizione sempre più dura fra Roma e Bruxelles con la tensione che crea, paralizza l'intera architettura europea, dall'unione bancaria fino alla politica comune per i migranti». Insomma, senza citare i cavalli di battaglia elettorali (reddito di cittadinanza, flat tax e riforma della legge Fornero sulle pensioni), nelle intenzioni sulla politica economica di Palazzo Chigi l'agenzia di rating ravvisa il detonatore capace di far deflagrare deficit e debito. Inoltre, Fitch ravvisa che «il rischio di un'inversione delle riforme strutturali, con un impatto negativo sui fondamentali di credito dell'Italia, è leggermente aumentato». Quanto al decreto Dignità, per l'agenzia avrà un effetto limitato sulle dinamiche del mercato del lavoro.

E, in ogni caso, la montagna del debito non sarà scalfita. «Ci aspettiamo un percorso leggermente più elevato rispetto alla nostra ultima revisione, con il debito che scende dal 131,8% del Pil nel 2017 al 130,4% nel 2020».

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