
Prima le donne e i bambini: le flotille affondano come ogni nave, e il wokismo soccorritore consiste innanzitutto in questo, in una gerarchia dell'attenzione mediatica, in uno standard multiplo che separa donne da donne e, soprattutto, bambini da bambini: le immagini di Gaza dovevano spostare il voto nelle Marche (pia illusione) mentre quelle dei bambini ucraini rapiti, deportati e ammazzati dai russi, semplicemente non ci sono, non si vedono, interessano meno (secondo Luca Ricolfi, anche venti volte meno) ma in primo luogo non interessano meno alla gente, anzi all'opinione pubblica: interessano meno in primo luogo ai giornalisti, che non fanno (a cui non chiedono) dei reportage da un teatro di guerra che pure è più vicino, quello ucraino.
Ezio Mauro (Repubblica) l'altro giorno ha celebrato un presunto risveglio dell'opinione pubblica improvvisamente "autonoma" e "spontanea" nella sua apparente mobilitazione per i palestinesi. Poi, quasi di straforo, ha riconosciuto l'ovvio: che nessuno osa ammettere che Hamas è la rappresentanza terroristica dei palestinesi e che tutti tendono a rimuovere gli ostaggi israeliani, vivi o morti; che nessuno, soprattutto, si chiede perché il supplizio degli ucraini (stupri, deportazioni, esecuzioni di civili) commuovano decisamente meno di altri. Mauro dice che Gaza viene vissuta in una chiave più emotiva, mentre Kiev, diversamente, è vista come una questione più politica e giuridica. Se anche fosse, sarebbe una spiegazione ma non una giustificazione, e infatti il punto ci pare un altro: appunto i giornali, i media, chi ossia ha prestabilito questa differenza e ha scelto Gaza come palcoscenico delle emozioni, relegando l'Ucraina a fastidioso sottofondo. L'ha scritto Luca Ricolfi su La Ragione (con parole diverse dalle nostre, forse migliori) che è persona che ha il potere di rendere razionali e scientifiche certe verità (talvolta ovvietà) che c'erano restate sulla punta della lingua.
In ogni caso è così: le immagini dei bambini palestinesi hanno invaso le nostre case (offrendo il fianco a sospetti anche di qualche messa in scena, detto col massimo rispetto) mentre quelle dei bambini ucraini sono passate come fantasmatiche comparse. Gaza, secondo la gerarchia intersezionale woke, è divenuta (si dice) la narrazione perfetta: popolo povero, oppresso da una potenza occidentale, contrapposto a Israele (anzi, a Netanyahu) che simboleggia un male senza chiaroscuri, senza, cioè, quelle corpose sfumature che sono proprie della realtà che non è sempre facile da sceneggiare. Gaza, per usare un termine desueto, è il dramma cattocomunista per definizione, la carità cristiana più il riflesso marxista, Kiev invece no, gli ucraini non sono miserabili, non sono oppressi dall'Occidente, anzi, sono degli occidentali falliti. E la Russia non è l'America, non è lo specchio delle nostre colpe. Ergo meno pathos, meno notizie, meno share, meno tutto. Però va ripetuto: questo doppio standard è una scelta editoriale come un'altra. Soprattutto, è una scelta consapevole: non è il solito benaltrismo sulle tante altre tragedie che ci sono al mondo (tipo in Sudan o in Myanmar) perché stiamo parlando di guerre che sono a un tiro di schioppo da casa.
Ripeterlo forse serve a poco, ma la pur sovrabbondante informazione (sì, certo, colpa anche dei social) di fatto non fornisce sufficienti strumenti per elaborare, studiare, approfondire: ma solo per consumare emozioni, ciò che dia l'illusione di stare dalla parte giusta della Storia, anche se non si la conosce, la Storia, o se ne conosce solo una parte.