Se i nostri giovani rifiutano il lavoro e poi si lamentano

«Voglia di lavorare saltami addosso» è un detto lombardo antico, volgare ma sempre di attualità. E si adatta perfettamente a quanto sta accadendo a Milano, dove l'Expo per aprire i battenti entro maggio abbisogna di personale di vario tipo, da assumersi a tempo determinato, cioè sei mesi, la durata dell'esposizione. I cui responsabili, ricevute 27mila domande, hanno proceduto alla selezione dei curriculum, avviando altresì i colloqui decisivi. I risultati della scrematura fanno venire le traveggole: l'80 per cento dei candidati, davanti all'ipotesi di una paga mensile tra 1.200 e 1.500 euro, sono fuggiti alla disperata facendo perdere le loro tracce, terrorizzati all'idea di doversi impegnare anche il sabato e magari la domenica, talvolta addirittura di notte.

Cosicché la scelta delle 600 persone necessarie a presidiare i vari padiglioni è stata (...)

(...) difficoltosa per mancanza di «materiale umano».

I requisiti richiesti agli aspiranti lavoratori (si fa per dire) erano questi: età inferiore a 29 anni, capacità di reggersi in piedi e all'occorrenza di camminare allo scopo di assistere i visitatori nelle loro piccole esigenze: nulla di eccezionalmente faticoso. Altrettanto problematico è stato il reperimento di 2.500 ragazzi e ragazze cui affidare incarichi di cuoco, cameriere e facchino, nonostante il settore turistico sia tra quelli che al momento tirano maggiormente, come dimostra il crescente numero di giovani iscritti alla scuola alberghiera.

Si tratta ora di capire perché, in un Paese afflitto da un'alta disoccupazione, tanta gente respinga senza nemmeno tentennare la proposta di mettersi al servizio - temporaneamente - dell'Expo. Meglio rimanere in casa a girarsi i pollici che sacrificarsi in un'attività (né muscolare né intellettuale, ma semplicemente rappresentativa: fare quattro chiacchiere e poco più) retribuita secondo le medie salariali nazionali? È probabile che l'avvicinarsi dell'estate induca molti nullafacenti a preferire una lunga vacanza sulle spiagge che non sostare sull'asfalto infuocato dell'hinterland milanese (Rho-Pero). C'è tuttavia da chiedersi dove essi vadano a prendere in soldi per finanziarsi il soggiorno: presumiamo nella borsetta di mammà. Il che fa sorgere cattivi pensieri ricollegati all'incipit del presente articolo: «Voglia di lavorare saltami addosso».

In altri termini ancora più crudi: non manca il lavoro, forse, bensì la volontà di eseguirlo nelle modalità imposte dalla dura legge del mercato, la sola che governi l'economia. Intendiamoci, è un sospetto, non una certezza, suffragato però dalla constatazione che coloro i quali cercano un impiego bocciano spesso offerte non rispondenti alle loro raffinate aspettative: posto fisso (in vita), serate, festivi e prefestivi liberi da dedicarsi alla ricreazione in discoteca o alla frequentazione della morosa. Tutta roba legittima, ma che contrasta con la priorità di assicurarsi dignitosi mezzi di sostentamento.

In ogni epoca le nuove generazioni si sono arrabattate per guadagnarsi due soldi e rendersi autonome dai genitori; non si comprende perché i nostri figli e i nostri nipoti - non tutti per fortuna - aborriscano la gavetta e pretendano subito una scrivania, rigidi orari d'ufficio, compenso sostanzioso. Il bello è che essi si irritano con gli anziani perché non mollano il potere, mentre non fanno nulla per portarglielo via. Mistero insondabile.

In questi giorni è uscito per Mondadori un saggio pregevole di Giuliano da Empoli (un breve passato renziano) intitolato La prova del potere . In copertina spicca un occhiello esplicito: «Una nuova generazione alla guida di un vecchissimo paese». È qualcosa di più di un auspicio visto che muoiono parecchi giovani, ma i vecchi muoiono tutti. Per cui il ricambio generazionale è garantito. Peccato che non servirà a mutare la cultura e i destini italiani, poiché le verdi leve, non appena conquistato il potere, immediatamente diventano conservatrici, come le precedenti. Non facciamoci troppe illusioni.

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