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Il segretario della Lega araba sul caos Libia: "Errore il conflitto, aveva ragione Berlusconi"

Gheit: «La situazione non andava esasperata, che sbagli da Merkel e Sarkozy»

Il segretario della Lega araba sul caos Libia: "Errore il conflitto, aveva ragione Berlusconi"

Roma - Anche la Lega Araba riconosce le ragioni di Silvio Berlusconi durante la «crisi libica» del 2011. L'egiziano Ahmed Aboul Gheit, segretario di questa istituzione diplomatica che rappresenta il mondo arabo nella sua interezza, non ha alcun dubbio. E lo dice pubblicamente e proprio all'apertura dell'incontro che si è tenuto martedì scorso al Cairo con una delegazione del Senato italiano, composta dal vicepresidente Maurizio Gasparri (Forza Italia), da Nicola Latorre (Pd), presidente della Commissione difesa di Palazzo Madama, e dal pentastellato Vincenzo Santangelo. A ricordare l'incontro è Gasparri. «Mi ha stupito - racconta - Ha detto senza mezzi termini che la Nato e il mondo occidentale avrebbero dovuto usare maggior prudenza nel modo di affrontare la crisi libica in quel frangente. E che, col senno di poi, senza dubbio le proposte allora avanzate da Silvio Berlusconi erano quelle più giuste».

Il leader di Forza Italia all'epoca guidava il suo quarto esecutivo e ha tentato in tutte le sedi di combattere l'idea, spinta con forza da Sarkozy e dalla Merkel, di un intervento aereo per spingere la crisi libica verso la destituzione di Gheddafi. «Gheit, ora alla guida della Lega Araba, è un diplomatico di lungo corso - ricorda Gasparri - Ci ha spiegato anche nei dettagli che la soluzione non poteva trovarsi nell'esasperazione di un conflitto, ancor oggi tutt'altro che risolto». La confusione libica, secondo il segretario della Lega Araba, è il primo fattore nell'attuale fenomeno dell'emigrazione incontrollata verso i lidi mediterranei dell'Europa comunitaria.

La delegazione ha poi incontrato anche il primate copto Tawadros II, il presidente del Parlamento, Ali Abdel Aal, e il presidente egiziano Al Sisi. Anche in questo caso si è registrata una posizione, da parte del premier egiziano, che non lascia dubbi su come dovrebbe essere affrontata l'emergenza immigrazione. «Noi - ha spiegato Al Sisi ai senatori italiani - riusciamo a controllare un confine, come quello con la Libia, lungo oltre 1.500 chilometri. Senza il nostro severo monitoraggio dei confini la situazione sarebbe ben più esplosiva. L'Europa - ha ammonito Al Sisi - dovrebbe prendere atto del lavoro che stiamo facendo anche nel suo interesse».

L'Egitto, tra l'altro, vive una stagione tutt'altro che facile. Il turismo (tra le principali fonti di reddito) ha avuto un tracollo. Qui un tempo arrivavano ogni anno un milione di italiani, ora non ne arrivano che 56mila. L'ultima tragedia in ordine di tempo, le due turiste tedesche uccise a Hurghada, non fa che confermare la difficoltà di un Paese che con i suoi 90 milioni di abitanti rappresenta un potente incubatore di estremismo e fanatismo.

Insomma la paura di Al Sisi è che il suo Paese, con un tasso di disoccupazione altissimo e povertà diffusa, diventi una nuova Libia: ovvero trampolino di una ondata migratoria senza precedenti e soprattutto incontrollabile.

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