Dalla claque anti governativa agli show nei centri sociali fino alle comparsate nei palazzi occupati. Benvenuti nel Francesca Albanese show, uno spettacolo che ormai rasenta il parossismo e assume contorni paradossali. "El pueblo unido jamás será vencido": eccolo il grido di battaglia che la relatrice dell'Onu scandiva mentre ballava e cantava allo Spin Time Labs, palazzo nel cuore di Roma occupato dal 2013, dove lo scorso 29 novembre è stato presentato il documentario di Christophe Cotteret sulla sua storia dal titolo "Disunited Nations".
La Albanese era lì sul palco del teatro del palazzo occupato più "coccolato" dal Vaticano e dalla sinistra romana. Nel 2019, infatti, l'elemosiniere pontificio, monsignor Konrad Krajewski, andò allo Spin Time Labs per riattaccare personalmente la luce che era stata negata agli occupanti, mentre nel 2021 in quel palazzo si svolse un dibattito con tutti i candidati alle primarie del centrosinistra al Comune di Roma, compreso Gualtieri.
Ieri sera, invece, si è tenuto un dibattito sul fallimento del proibizionismo della cannabis, moderato da Sabina Guzzanti e a cui ha partecipato anche l'ex magistrato Giancarlo De Cataldo e il giovane Don Mattia Ferrari, il prete della Ong Mediterranea. E in quel contesto è stato trasmesso il documentario che dipinge Albanese come una vittima dell'Occidente e paladina dei diritti dei palestinesi. L'obiettivo è chiaro: rappresentare Israele come uno Stato genocida. Quello che colpisce è che il documentario è un vero e proprio atto d'accusa verso l'organismo internazionale che la guru pro Pal rappresenta. "Le azioni di Francesca Albanese, ora al crocevia tra istituzione e attivismo, non mascherano forse anche il fallimento dell'Onu in Medio Oriente?", è la domanda che proviene dalla voce fuori campo. E ancora: "L'Onu è nata con la spartizione della Palestina. Morirà con essa?".
Ma non è tutto. Albanese, lo scorso 29 luglio, ha partecipato al convegno dal titolo "Da un'economia di occupazione a un'economia di genocidio" organizzato alla Camera dei Deputati da Stefania Ascari del M5S, la stessa che in questi giorni sta chiedendo la liberazione di altri palestinesi sulla scia di quella dell'imam di Torino Shahinm. Fin qui nulla di strano, se non che, a un certo punto, prende la parola una persona del pubblico che si presenta come "Massimiliano". La Albanese lo guarda con un mix di stupore e compiacimento. "Abbiamo ascoltato le responsabilità chiare di natura giuridica dell'Italia, a livello individuale delle aziende (...) e sappiamo anche che c'è molta chiarezza attorno a questi crimini di genocidio", dice l'uomo. Che, poi, aggiunge: "Come mai manca una qualsiasi azione politica? Come mai la politica ha deciso, e continua a decidere ogni giorno, non solo di lavarsi le mani di questo genocidio ma di appoggiarlo in maniera esplicita?".
E poi: "Pensano che gli italiani, nel 2027, quando ci saranno le elezioni, se lo dimenticheranno? Pensano forse che non ci sia questo sentimento popolare che nella bolla qui di Roma non pervengano queste istanze da parte degli italiani, o forse non gliene frega niente o forse ci guadagnano?". Ebbene, quest'uomo non è un cittadino comune, ma, secondo l'ong Un Watch, è Massimiliano Calì, senior economist per la Banca Mondiale e marito proprio della Albanese. Una claque anti governativa, appunto.