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Si è infranto il tabù della sfida al Cremlino. Lo Zar mai così debole il mistero della fuga

L'attacco apre la crepa finale nel potere di Putin. Il presidente all'angolo si appella all'unità del Paese, ma ancora non è chiaro chi rimarrà al suo fianco Il giallo del volo per portarlo a San Pietroburgo.

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Il fatto che a tarda sera Evgenij Prigozhin abbia annunciato la marcia indietro cambia poco della sostanza: la Russia di Putin è nel caos. Un colpo di Stato farsesco sembra essersi dissolto altrettanto velocemente di come era stato avviato, lasciando tutti a dir poco disorientati. Ci vorrà tempo per valutare le conseguenze di una giornata così incredibile. Il potere dello «zar», però, è in pezzi. E sono certamente tanti i fantasmi che si agitano nella mente di Vladimir Putin in queste ore. Non solo quelli che lui stesso ha citato nel suo teso appello all'unità nazionale di ieri mattina, ombra del minaccioso discorso di 16 mesi fa, quando annunciò l'invasione dell'Ucraina - del fronte interno che durante la prima guerra mondiale sfociarono nella rivoluzione bolscevica del 1917, nell'assassinio dello Zar e della sua famiglia, oltre che dei successivi anni di feroce guerra civile. Più vicini nel tempo, ci sono gli eventi di settant'anni fa, quando Lavrentij Beria, il terribile erede di Stalin, finì giustiziato nei sotterranei della Lubjanka su ordine del rivale Nikita Kruscev, ben conscio che identico destino lo avrebbe altrimenti presto raggiunto per mano della sua vittima. E ancor più recenti, i fatti che forse più somigliano agli attuali: quelli del 1991, quando un abortito putsch tentato da uomini del Kgb contro Mikhail Gorbaciov fu comunque seguito pochi mesi dopo dal collasso in stile Titanic della stessa Unione Sovietica. Nonostante le smentite forse già fuggito a San Pietroburgo, dove un aereo presidenziale risulta atterrato, aggrappato alla fedeltà dei pretoriani della Guardia Nazionale e all'affidabilità delle forze regolari chiamate a fermare la marcia su Mosca degli uomini di Evgenij Prigozhin, Putin si è ridotto a ottenere per via del suo vassallo bielorusso Lukashenko una concessione da parte del suo rivale, ma vive l'incubo di una fine drammatica. La sua ben nota paranoia gli fa vedere traditori dappertutto, stavolta però con fondate ragioni. Perché con il passare delle ore era parso sempre più probabile che il capo della Wagner potesse contare su qualche asso che al Cremlino non avevano previsto: oltre ai famosi 25mila uomini in armi che potrebbero in realtà essere meno della metà, secondo esperti di cose militari russe -, l'ambizioso nemico interno sperava di ingrossare le sue fila nell'avvicinamento alla capitale con numerosi disertori di un esercito scontento; di ottenere via libera o quasi da parte di guarnigioni locali assottigliate dagli invii al fronte ucraino e comandate da ufficiali pronti a fiutare l'aria che gira; soprattutto di trovare a Mosca alti ufficiali e uomini politici disposti a voltare gabbana. Per parte sua, lo «zar» improvvisamente traballante si è per il momento salvato all'ultimo minuto. Rimane però il fatto che le minacce di colpo di Stato agitate da Prigozhin sono state prese dannatamente sul serio a Mosca, dove si è assistito a un fuggi fuggi generale. Evidentemente si è compreso che gli argomenti agitati dal capo della Wagner potessero trovare ascolto ai più vari livelli. Nessuno può dire cosa succederà adesso, l'esito di questa folle giornata russa è incerto. Rimane però indubbio che Putin ha dovuto per la prima volta sostenere una sfida frontale al suo potere personale. Prigozhin si è fermato a un passo dallo scontro decisivo, ma per ora nessuno lo ha toccato e lo «zar» deve ancora temere l'avvio di una vera guerra civile, che potrebbe anche perdere: l'immagine del potente generale Surovikin che ha lanciato un appello in suo favore in evidente stato di alterazione alcolica non è incoraggiante.

Così come le fughe da Mosca, variamente giustificate, dell'ex presidente Dmitry Medvedev, del premier Mikhail Mishustyn e sembra - dello stesso ministro della Difesa Sergej Shoigu, oggetto delle dirette minacce del capo di Wagner.

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