
Si perdona il peccatore, non il peccato, si benedice la persona, non l'unione omosessuale. Tra le tante questioni aperte dal pontificato di Papa Francesco - uno che preferiva porre problemi che cercare soluzioni, "quelle verranno", diceva spesso - ci sono i tormenti dei cattolici Lgbtq+, illusi che alla misericordia divina di un Dio che perdona tutto e tutti, soprattutto nell'anno giubilare, potesse seguire qualcosa di più sostanziale di un "chi sono io per giudicare?" da Papa Leone XIV. Ma a giudicare dall'assenza del Pontefice, nonostante gli sforzi dello sherpa gesuita James Martin (che lavora da sempre con le persone omosessuali) nella sua visita di qualche giorno fa al Papa, la strada per il pieno riconoscimento dei cattolici omosessuali inaugurata dalle encicliche Fiducia supplicans e Amoris Laetitia è ancora in salita. Lo scopriremo all'Angelus di oggi.
L'immagine del migliaio di anime arcobaleno per attraversare la Porta Santa di San Pietro prima di mezzogiorno resta nella Storia, come il primo Giubileo per trans e credenti omoaffettivi organizzato da Beatrice Sarti, mamma di un omosessuale e membro del direttivo della Tenda di Gionata. A Piazza Pia, dove si prende la croce del pellegrinaggio del Giubileo, tra magliette, borse, spille e cappelli arcobaleno che si agitano assieme alle foto di Bergoglio, orgogliosamente esibite come si fa col crocefisso, c'è anche il parroco di Torvaianica don Andrea Conocchia famoso per le sue prediche pro Lgbtq+ e suor Genevieve, la religiosa disobbediente immortalata in lacrime davanti alla bara di Francesco, dopo aver infranto il protocollo e Ana Flavia, trans arrivata da Ciclayo, la diocesi peruviana in cui Prevost è stato a lungo missionario, convinta che il suo ex vescovo "è inclusivo, pastore di tutte le pecore, aprirà presto il suo cuore". La loro assenza all'udienza giubilare del Pontefice a Piazza San Pietro è nascosta da "un rigido programma dettagliato previsto da tempo", dicono un po' sottovoce in Vaticano. D'altronde, serve tempo per ricucire lo smarrimento di una parte consistente della Chiesa per le benedizioni "pastorali" delle coppie gay che hanno incrinato il dogma dell'indissolubilità del vincolo matrimoniale e quasi sdoganato l'omosessualità, disapprovata sia dalle Sacre Scritture sia dal Magistero della Chiesa.
Nella messa presieduta da monsignor Francesco Savino, vice presidente della Cei, c'è il pathos per una svolta attesa troppo a lungo. "Il Giubileo deve essere un tempo di giustizia riparativa - dice accorato il vescovo di Cassano allo Jonio - è ora di restituire a tutti la dignità finora negata e incancellabile dopo tanti capitoli dolorosi. Ma Dio salva".
Eppure il pensiero di Prevost sulla famiglia tradizionale è noto e ricalca senza sbavature il tracciato di Sant'Agostino sulla "legge naturale e dunque divina del matrimonio", il primo a "sposare" la concezione moderna di famiglia come "piccola società", la sua funzione sociale e quella sacra per costruire "società civili armoniche e pacificate", basate "sull'unione stabile tra uomo e donna, una carne sola per volere di Dio", per dirla con Leone XIII e l'enciclica Arcanum.
"L'unione gay va contro la legge della Chiesa, non esiste l'espressione famiglia alternativa perché le coppie omosessuali non possono esserlo", a meno di non percorrere vie innaturali o pratiche riprovevoli come l'utero in affitto, mentre l'ideologia gender "cancella l'identità". E sposarne i pericoli sarebbe diabolico.