Il terremoto destinato a cambiare il panorama dell'informazione italiana (almeno quella cartacea) coglie il Palazzo del tutto distratto e impreparato. Nel Transatlantico di Montecitorio, dove pure proprio di editoria si discute visto che ieri è stata approvata la prima legge per il riordino del settore voluta dal governo -, la maggior parte dei parlamentari non ha neppure letto le indiscrezioni che già ieri mattina davano per certo lo storico accordo tra il gruppo Espresso-La Repubblica e il gruppo Fca-La Stampa. E non sa nulla delle impennate di Borsa che hanno salutato la voce né della ridda di ipotesi che si accavallano sul futuro dei grandi giornali italiani, visto che anche per il Corriere della Sera con l'uscita di Fca da Rcs le cose sono destinate a cambiare. Il primo e fino a tarda sera l'unico a commentare la vicenda è il sindaco di Torino Piero Fassino, esponente del Pd.
Un po' per ragioni di territorio, visto che La Stampa è il giornale per antonomasia nella sua città e in tutto il Piemonte; un po' anche perché da sempre estremamente attento al mondo dell'editoria e ai suoi movimenti (sin da quando, segretario dei Ds prima della fusione nel Pd, non gli sfuggiva neppure l'ultimo trafiletto sull'ultimo quotidiano, con gran disperazione dei suoi uffici stampa). E il primo cittadino di Torino celebra l'evento, sottolineando che con la fusione tra Itedi (editrice de La Stampa) e l'Espresso «nasce il più grande polo editoriale italiano, che unisce il patrimonio di esperienza, competenza e professionalità» di tre quotidiani (La Repubblica, la Stampa, Il Secolo XIX) preservando «secondo un modello europeo l'identita', l'autonomia, e il radicamento di ciascuna testata». I giornali del futuro gruppo, assicura il sindaco di Torino, «non potranno che beneficiarne, a partire dalla Stampa, rafforzando posizionamento di mercato e bacino di lettori».Il governo mantiene comprensibilmente il silenzio su un'operazione che dovrebbe portare al controllo del 20 per cento dell'intero mercato della carta stampata, e che coinvolge due tra le testate più influenti per l'informazione politica italiana, e con le quali il premier ha avuto rapporti altalenanti, ma intensi.
Il suo braccio destro, il sottosegretario Luca Lotti che ha la delega per l'editoria, non apre bocca e si limita ad incassare il via libera della Camera al suo progetto di riforma del settore che ridisegna il sostegno pubblico all'informazione ed istituisce il «Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione». Per il resto, la politica non mostra grande attenzione alla questione, c'è chi cade dalle nuvole e chi chiede chiarimenti («Ma si fonderanno anche le testate?», «Quanti giornalisti finiranno a spasso con la fusione?»).
Walter Verini, già braccio destro di un altro leader Pd con grande attenzione e ottime entrature nel modo dei quotidiani e di Repubblica in particolare come Veltroni, allarga le braccia: «Nella crisi verticale dei giornali, l'unico sistema per sopravvivere è creare grandi gruppi con una proiezione internazionale: è inevitabile». Gianni Cuperlo non trattiene la battuta: «Per fare un polo davvero completo, non potrebbero fondersi anche con l'Unità?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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