"La sinistra ignora i poveri. Schlein non può federare"

Il sociologo Luca Ricolfi: "La voglia di potere unirà il campo largo. Renzi? In 5 anni ha cambiato idea 4 volte"

"La sinistra ignora i poveri. Schlein non può federare"
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Il professor Luca Ricolfi, sociologo e interprete della società contemporanea, ne è convinto: la sinistra troverà dei compromessi pur di stare insieme e diventare competitiva contro l'attuale maggioranza di governo. Ma resta aperta la questione principale: l'esclusiva attenzione riservata al «ceto medio riflessivo», a discapito delle altre fasce sociali.

Il campo larghissimo sembra l'unica strategia in mente nell'area del centrosinistra. Ma sulla piattaforma ideale e ideologica - date le differenze tra i partiti - permangono distinguo evidenti. Quali prospettive?

«Buone, ma non per meriti propri. A favore del centrosinistra giocano due elementi. Primo, il fatto che nella seconda Repubblica destra e sinistra si alternano al potere, quindi al prossimo turno tocca alla sinistra. Secondo, le tre riforme istituzionali del centro-destra (premierato, autonomia, magistratura) permetteranno al centro-sinistra di allargare i propri consensi, in chiave salviamo la democrazia.

L'unico problema che vedo, per un ritorno della sinistra al governo, è che l'elettorato progressista è abbastanza frazionato e litigioso: non è detto che tutti accettino la leadership di Schlein, assai meno ecumenica e centrista di quella di Prodi»

Matteo Renzi avrebbe voluto fare il centro ma l'operazione, forse anche non solo per errori strategici, non è riuscita. Ora torna a guardare a sinistra. È credibile?

«No, non lo è. Come un paziente ciclotimico, alterna fasi politiche di segno opposto. Prima squalifica i 5s, poi li sdogana per fermare Salvini, poi torna ad osteggiarli perché vuole Draghi, ora li recupera di nuovo perché vuole essere ammesso alla corte di Schlein. Mi pare che 4 fasi politiche in controtendenza reciproca consumate in soli 5-6 anni siano un po' troppe».

Sul lavoro le visioni dei partiti che comporrebbero questo campo larghissimo sono molto differenti. Si pensi soltanto al Jobs Act. Come convergere in un pensiero non per forza comune ma quantomeno organico, date le premesse?

«La legittima voglia di tornare al governo farà superare ogni dissenso sul mercato del lavoro. Schlein non si metterà certo a litigare con Renzi sul passato, e inventerà una formula che metta d'accordo tutti, dai qualunquisti Cinque Stelle ai blairiani seguaci di Renzi. La formula più facile è quella del salario minimo legale, una battaglia che piace e potrebbe unificare tutte le forze progressiste».

La sinistra continua a non rivolgersi al ceto medio o al ceto medio impoverito o ai poveri in senso lato, preferendo le istanze dei diritti individuali, come quelli richiesti dalla comunità Lgbtq e non solo. È così che si costruisce l'Ulivo 2.0?

«Puntare sulle minoranze sessuali, come ha fatto il governo Letta con la sua cocciutissima battaglia sul Ddl Zan, sarebbe un suicidio politico, ma credo che poco per volta la sinistra se ne stia rendendo conto. Se vuole tornare a vincere, dovrà puntare sui diritti sociali, senza fughe in avanti sui diritti civili. Su questo i governi ulivisti erano piuttosto ben bilanciati».

Non le sembra che la sinistra, con la sua piattaforma valoriale, abbia come interesse primario proprio quello di assecondare non solo la costruzione ma anche la permanenza della sua società signorile di massa?

«La sinistra degli ultimi anni è stata il cuore della società signorile di massa, se non altro perché ha ignorato l'esistenza della infrastruttura para-schiavistica (3.5 milioni di para-schiavi) su cui quel tipo di società si regge, e ha difeso innanzitutto valori e interessi dei ceti medi riflessivi, tendenzialmente istruiti e urbanizzati: il sindaco di Milano Beppe Sala ne è l'emblema perfetto».

Può esistere un centro, magari a guida Calenda, in questo scenario che volge di nuovo verso il bipolarismo?

«Secondo me no, per varie ragioni. Intanto, l'elettorato disposto a votare un partito ago della bilancia, che non sta né di qua né di là, è troppo esiguo in Italia.

In secondo luogo, credo sia difficile costruire un partito nuovo e vincente fornendo solo buoni amministratori, tecnici validi, programmi ben studiati, soluzioni articolate a problemi complessi, come tende a fare Carlo Calenda. La gente vuole anche sogni, un'idea di futuro, obiettivi capaci di suscitare passioni. Si può pensare che la gente sbagli, ma non si può ignorare che per il momento le cose funzionano così».

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