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Sono uomini 18 presidenti su 20. La sinistra scorda le quote rosa

È inutile girarci attorno, fare il presidente di Regione è un mestiere per uomini

Sono uomini 18 presidenti su 20. La sinistra scorda le quote rosa

È inutile girarci attorno, fare il presidente di Regione è un mestiere per uomini. Non certo per capacità superiori o presunte inferiorità, ma perché esiste una sinistra stereotipata che si riempie la bocca di pari opportunità e poi non le concede. La mappa finale delle Regioni, quindici macchie azzurre e appena cinque rosse, ci consegna un dato statistico che fa riflettere. Su 20 governatori, appena due sono donne, un modestissimo 10 per cento.

Non è certo un tic liberale quello di gridare alla eccessiva presenza maschile nei ruoli di primo piano, quanto una bandiera della sinistra femminista. Lo scontro decennale tra chi concepisce che i ruoli vengano affidati ai più idonei al di là del sesso e chi propugna quote di garanzia. Dibattito infinito con parti di ragione quasi equamente suddivise.

Fa specie piuttosto che il Pd, il partito di riferimento delle «quote rosa» garantite in politica, si dimentichi delle sue battaglie progressiste quando c'è da candidare chi è più bravo a raccogliere voti. Si grida all'alternanza e poi si mettono in campo i De Luca e gli Emiliano che da decenni vincono tutte le elezioni cui partecipano. Nel Lazio regna serafico addirittura lo stesso segretario dem Nicola Zingaretti, collezionista di poltrone negli enti locali per la capacità di convincere gli elettori. E in Emilia Romagna prosegue la presidenza di Stefano Bonaccini, madonna pellegrina del centrosinistra per avere salvato partito, governo e coalizione giallorossa con la vittoria di gennaio contro la Lega di Salvini.

Fa sorridere che sia invece il centrodestra, la parte politica accusata dagli avversari di eccessivo maschilismo, ad avere condotto Donatella Tesei in Umbria e Jole Santelli in Calabria come quote rosa effettive del partito dei governatori. Anche Salvini, considerato a sinistra come un politico becero privo di sensibilità, ha puntato le sue ultime carte sulle donne. Ma se le candidate non corrono per il Partito democratico, allora il sostegno traversale femminile non vale. Anzi, lo sberleffo e l'insulto sessista viene legittimato, quasi doveroso per aggiungere il disprezzo alla scarsa considerazione. Eugenio Giani, il neo governatore toscano pettinato come un membro del Politburo sovietico di Cernenko, ha offeso l'avversaria Susanna Ceccardi descrivendola «al guinzaglio di Salvini». Una bella battuta da caserma anni '50 che la dice lunga sulla sincerità di certe battaglie di bandiera. Anche la candidata leghista sconfitta in Emilia, Lucia Borgonzoni, è stata trattata alla stregua di una incapace trascinata in piazza da Salvini a fare la bella statuina. Persino il sindaco di Milano Beppe Sala, facoltoso manager del salotto bene e icona della sinistra chic, le ha riservato pensieri lusinghieri: «Non sa neanche da che parte è girata». E quando la Santelli ha firmato un'ordinanza in primavera per riaprire in parte la Calabria sotto lockdown, i leoni da tastiera l'hanno ridicolizzata con argomenti retrivi: «Le donne di sera devono lavare i piatti, non fare ordinanze».

La sinistra ovviamente sta sempre con le donne, ma quando c'è da conquistare una Regione non c'è quota rossa che tenga.

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