"Stavano depistando". Arresti sfiorati sui dossier

La Procura di Perugia chiede i domiciliari per Laudati e Striano, il gip li nega. Ma Cantone insiste e ora si appella al tribunale del Riesame

"Stavano depistando". Arresti sfiorati sui dossier
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Una attività costante e documentata di inquinamento probatorio, ripetuti tentativi di nascondere le tracce della «macchina da dossier» impiantata all'interno della Direzione nazionale antimafia. È questo che la Procura di Perugia ha scoperto nelle nuove indagini su Antonio Laudati, ex pubblico ministero alla Dna ed ex procuratore di Bari, e sul suo investigatore di fiducia, il luogotenente della Guardia di finanza Pasquale Striano. Ed è per questo che gli inquirenti di Perugia chiedono di mettere sia Laudati che Striano agli arresti domiciliari: una mossa di una severità estrema, soprattutto considerando che né il magistrato né il finanziere sono più in servizio, e quindi non possono commettere nuovi reati. Ma davanti ai conclamati tentativi di fare sparire le prove, il procuratore di Perugia Raffaele Cantone e i suoi pm non hanno ritenuto di avere altra scelta. E dopo il diniego del giudice preliminare hanno deciso - come riferito ieri dal quotidiano La Verità - di ricorrere al Tribunale del Riesame.

Nello stringato provvedimento che respinge la richiesta di arresto per i due indagati, il giudice preliminare dubita che, di fronte allo stato avanzato dell'inchiesta, i tentativi di depistaggio di Laudati e Striano possano risultare pericolosi. Ma nello stesso provvedimento il gip riconosce che le prove raccolte a carico dei due sono di una gravità inattaccabile. Ancora non è chiaro, e forse non lo sarà mai, quale fosse il vero movente che portava Laudati e Striano a succhiare dalle banche dati della Dna notizie riservate su esponenti politici (quasi tutti di centrodestra, a partire dal ministro Guido Crosetto che con la sua denuncia diede il via alle indagini) e passarle ai giornalisti del Domani, il quotidiano di Carlo De Benedetti. Ma che questo avvenisse è provato aldilà di ogni dubbio.

Nella richiesta di arresto per i due principali indagati non vengono indicati nuovi capi d'accusa oltre ai trentanove contenuti nell'invito a comparire del maggio scorso. Ma nelle carte compaiono altri episodi, altre incursioni nelle banche dati («moltissime», dice una fonte vicina agli inquirenti) emerse analizzando nei dettagli le attività di Laudati e Striano nell'ufficio «Sos» della Dna, quello dove - nonostante le obiezioni delle Procure di tutta Italia - venivano centralizzate le segnalazioni di operazioni sospette provenienti dalla Banca d'Italia, anche quelle che nulla avevano a che fare con mafia e terrorismo. E da lì partivano, senza troppe cautele, verso i giornalisti amici: Stefano Vergine, Giovanni Tizian e Nello Trocchia, tutti del Domani, ora indagati anche loro ma senza richiesta di arresto.

L'inchiesta non è affatto chiusa, spiegano gli inquirenti, va avanti a 360 gradi. Qualunque sia la decisione del tribunale del Riesame, la richiesta di arresto per Laudati e Striano segna comunque un punto di svolta: perché alla cancelleria del Riesame il procuratore Cantone ha depositato l'intero fascicolo di indagine, una massa da mediomassimi di documenti finora coperti da segreto istruttorio, e la cui lettura promette di fornire una chiave di comprensione dello scandalo più precisa.

Per il momento le carte sono a disposizione solo dei difensori dei due arrestandi, e proprio per avere il tempo di leggerle il difensore di Laudati, Andrea Castaldo, ieri rifiuta qualunque commento. Ma Cantone intenderebbe, non essendoci più esigenze di segretezza, di inviare l'intero malloppo alla Commissione parlamentare Antimafia, che da tempo cerca di vedere chiaro nella vicenda.

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