"Storari ha agito bene. Davigo? Di lui non parlo"

L'ex magistrato: normale che in caso di contrasto con i capi un pm si rivolga a colleghi più esperti

"Storari ha agito bene. Davigo? Di lui non parlo"

Non c'è niente di male, niente di anomalo, in un pubblico ministero che davanti a un'inchiesta difficile chiede l'aiuto di un collega più esperto e più autorevole. A Paolo Storari, il magistrato milanese che ha consegnato a Piercamillo Davigo i verbali del caso Amara, e che per questo è finito sotto inchiesta e rischia il posto, arriva l'appoggio esplicito di uno che conosce bene il mondo del Consiglio superiore della magistratura, le sue regole ufficiali e le sue dinamiche nascoste: Luca Palamara.

Converrà che il passaggio brevi manu di una copia non firmata dei verbali da un pm a un membro del Csm non si era mai visto.

«Io inviterei a guardare alla sostanza di quanto è accaduto, più che alla forma. Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la vita quotidiana di una Procura sa che è prassi costante che un sostituto, soprattutto nei frangenti più delicati, senta il bisogno di trovare un momento di conforto e di condivisione da parte di colleghi che ritiene più preparati e che considera un punto di riferimento. È questo che credo sia avvenuto tra Storari e Davigo».

I consiglieri del Csm non hanno tra i loro compiti fare da tutor ai giovani colleghi.

«La prima commissione è competente su tutte le problematiche interne agli uffici giudiziari: quando a un pm viene tolta una inchiesta, o anche quando, come in questo caso è innegabile, ci sono contrasti interni».

Ma Storari non avrebbe dovuto seguire un canale più limpido, più istituzionale?

«Vorrei ricordare che di una vicenda assai simile io fui protagonista quando il collega romano Stefano Fava si rivolse a me per lamentare il trattamento che riceveva dai capi dell'ufficio, e anche lì c'era di mezzo l'indagine sull'avvocato Amara. Io lo invitai a seguire i canali formali e a inviare, se lo riteneva, un esposto al Csm».

Storari poteva fare lo stesso.

«Ripeto: guardiamo alla sostanza. Ci sono colleghi che a un certo punto di una indagine sentono la necessità di confrontarsi, soprattutto se sono fortemente convinti di essere dalla parte della verità. Storari lo ha fatto con un collega non solo più esperto ma che ricopriva un ruolo istituzionale».

Ma quei verbali erano segreti.

«Ci sono due circolari molto precise che regolano questa materia. La prima dice che se il Csm chiede a una Procura atti di una indagine che coinvolge magistrati, ha il diritto di ottenerli. La seconda, che se una Procura iscrive un magistrato nel registro degli indagati ha l'obbligo di comunicarlo subito al Csm: per evitare, per esempio, che un indagato venga nel frattempo promosso. Il segreto istruttorio non può essere opposto davanti al Consiglio superiore, se non per ragioni assolute di tutela della segretezza delle indagini».

In concreto cosa accade? Quando lei era al Csm, le varie Procure vi raccontavano volentieri i fatti loro?

«In teoria le due esigenze andrebbero bilanciate. Nei fatti, le Procure in genere pensano che il Csm sia un colabrodo e si tengono strette le notizie fin quando possono. Nel mio caso, tra la mia iscrizione nel registro degli indagati e la comunicazione al Consiglio sono passati sei mesi».

Quindi Storari non ha colpe. Ma Davigo che quei verbali li accetta?

«Su Davigo non parlo perché non so ancora cosa abbia fatto di quei verbali».

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