Cultura e Spettacoli

La storia marinara dell'Italia insegna l'importanza della "blue economy"

Dalle quattro Repubbliche a oggi, il filo rosso che unisce il nostro passato al futuro prossimo del Mediterraneo in "Patria senza mare"

La storia marinara dell'Italia insegna l'importanza della "blue economy"

La marittimità è (o, meglio, dovrebbe essere) una priorità della nostra narrazione nazionale. Piaccia o meno nel Mediterraneo «l'Italia ha sempre trovato il segno del proprio destino poiché ne costituisce l'asse mediano e le è dunque naturale il sogno e la possibilità di dominare quel mare in tutta la sua estensione» (Braudel dixit...) e proprio nel «continente liquido» risiedono i primari elementi politici, economici, militari su cui si regge cui l'intero sistema-Nazione, una somma di fattori che, piaccia o meno, c'impediscono di rannicchiarci, attendendo che la tempesta passi; se non vogliamo affogare tra i gorghi dell'incombente tsunami geopolitico e geoeconomico (ma anche sociale, ambientale, sanitario etc, etc.) è necessario ragionare sulla trasformazione in atto, analizzandone le dinamiche per cercare di coglierne i rischi, le trappole ma anche le opportunità, i possibili vantaggi.

Ragioniamo e pesiamo i numeri. Secondo i dati sul 2018 del Fondo monetario internazionale, l'Italia - nonostante sessant'anni di modestissima politica e quarant'anni di rimpicciolimento delle nostre imprese - produce ancora beni e servizi per l'equivalente di oltre duemila miliardi di dollari, ha un avanzo nelle partite correnti della bilancia dei pagamenti di oltre 50 miliardi di dollari, cioè esporta più di quanto importi. Nella classifica mondiale è ventitreesima per popolazione, ottava per Pil, decima per risultato di scambi con l'estera (ma ottava, escludendo Russia e Arabia Saudita che esportano prevalentemente energia). Non una superpotenza, ma di certo non un paese povero, periferico, trascurabile.

Da qui la centralità dell'economia marittima, la blue economy, che garantisce e alimenta la nostra economia di trasformazione. Qualche altro numero: attraverso il Mediterraneo transita il 20% del traffico commerciale mondiale, il 25 dei servizi di linea container, il 30 del traffico petrolifero. E ancora, il 54% del nostro commercio estero, l'85 del traffico con i Paesi extra Ue e più del 90 dell'energia (petrolio e gas) si muove via mare. Degli oltre 90 miliardi di euro di merci importate nel 2016 - oltre il 55% in valore e il 70 in peso - scivolano sulle onde e, attraverso il canale di Sicilia, Gibilterra e Suez, arrivano nei nostri porti mentre tubi e cavi sottomarini ci garantiscono altro calore e buona parte dei collegamenti internet. Quasi il 50% del Pil nostrano passa attraverso l'acqua salata anche per merito di una flotta mercantile importante - l'undicesima del mondo - e di elevato livello tecnologico. Poi la pesca - abbiamo la terza flotta europea - i porti, la cantieristica, la nautica, il turismo.

Su tutto veglia - con molta professionalità ma con sempre meno navi - la Marina militare, un'eccellenza nazionale che, dallo scenario regionale sino all'Oceano Indiano e il golfo di Guinea (il «Mediterraneo allargato» o «Medio Oceano»), cerca di garantire presenza, traffici e interessi permanenti dell'Italia del mare.

Il Mediterraneo, al netto della retorica europeista - quella «tensione lotaringia» che Cavour rimproverava ai suoi molto provinciali colleghi di governo - rimane per l'Italia un'occasione, una prospettiva forte e, forse, l'unica percorribile; se vogliamo restare una «media potenza a vocazione globale» solo sul mare e attraverso il mare possiamo difendere la nostra vocazione mercantile e rilanciare una proiezione d'influenza geopolitica autonoma. Riprendendo Lucio Caracciolo: «Non si tratta di fuggire il Mediterraneo, ma di assumerne, in quanto avanguardia geografica e a partire dai nostri interessi, la cogestione insieme ai principali soci europei, nordafricani e levantini».

Da qui il bisogno, l'urgenza di strategie e politiche articolate e, innanzitutto, di una visione marittima, di una cultura del mare. Di una narrazione e di una progettazione. Di una Storia. Ed è proprio quello che manca all'Italia.

Ieri come oggi.

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