Strage all'ospedale di Gaza: almeno cinquecento morti. È giallo sulle responsabilità

"È un vostro missile". "No, il razzo era vostro". Nel rimpallo di responsabilità tra Israele e Hamas resta una tragica certezza

ospedale Al-Ahli di Gaza
ospedale Al-Ahli di Gaza
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«È un vostro missile». «No, il razzo era vostro». Nel rimpallo di responsabilità tra Israele e Hamas resta una tragica certezza: l'ennesima mattanza che sta insanguinando il Medioriente. L'Al-Ahli Arabi Baptist Hospital nel centro di Gaza City è esploso ieri sera causando almeno 500 morti tra ricoverati, soprattutto donne e bambini, e personale di servizio, medico e infermieristico. Nella struttura si erano rifugiate anche molte famiglie. Secondo Hamas è stata una bomba sganciata da un jet israeliano. Israele smentisce e, attraverso i servizi di intelligence dell'esercito, individua la causa della strage in un «fallito lancio di un razzo della Jihad Islamica» finito sull'ospedale, dove forse, nei sotterranei, erano nascoste armi ed esplosivi. Il presidente dell'Anp Abu Mazen ha dichiarato tre giorni di lutto a seguito della strage mentre centinaia di palestinesi sono scesi nelle strade di Nablus, Tulkarem e Jenin in Cisgiordania per protestare. Nel frattempo fonti palestinesi sottolineano che, a ieri, almeno 940 bambini e oltre mille donne sono stati uccisi nell'enclave di Gaza.

Un'ecatombe, da qualsiasi parte la si guardi. Con lutti e tragedie che si susseguono. Come la notizia della morte di Eviatar Moshe Kipnis, uno dei tre italo-israeliani che si credeva essere stato rapito dai terroristi di Hamas sabato 7 ottobre, è stato ritrovato morto. L'uomo, 65 anni, è stato identificato tra le vittime in base all'esame del Dna. Si trovava con la moglie Liliach Le Havron, ancora dispersa, nel kibbutz di Beeri, uno dei più colpiti dal blitz terroristico dove sono state trovate 108 vittime. Anche la Farnesina ha confermato la notizia con il ministro degli Esteri e vice premier Antonio Tajani che ha espresso solidarietà e vicinanza alla famiglia. L'altro italo-israeliano, Nir Forti, era al rave vicino alla Striscia di Gaza, dove è stata rapita anche Maya Shem, la ragazza di 21 anni il cui video-appello diffuso da Hamas brucia ancora negli occhi e rende ancora più manifesto il dramma degli ostaggi in mano ai terroristi. «Ora ho la prova che è viva. Prego il mondo di riportare la mia bambina a casa, era solo andata a una festa», ha commentato la madre della giovane, Keren Sherf Shem mentre il portavoce militare israeliano Daniel Hagari parla apertamente di «terrorismo psicologico». Il computo dei rapiti secondo Israele è di 199 persone. «Abbiamo chiesto corridoi per riportare a casa gli ostaggi. Hamas ci deve dire che sono pronti e qual è il prezzo», ha detto Yaakov Peri, ex capo dello Shin Bet e membro del team di negoziatori. Mentre un dirigente di Hamas conferma l'ipotesi rilanciata da Teheran di una trattativa sugli ostaggi in cambio di una tregua da parte di Israele.

Intanto la situazione nella Striscia di Gaza resta drammatica. Anche se la strategia israeliana di invasione potrebbe cambiare sotto le pressioni internazionali, secondo un portavoce dell'esercito sarebbero già 600mila le persone che hanno evacuato l'area di Gaza City e secondo le autorità sanitarie palestinesi sarebbero circa 1.200 le persone, tra cui 500 minori, intrappolate sotto le macerie. «I medici dicono di sentire le vittime urlare, ma non possono farci nulla», spiega Mohammed Abu Selmia, direttore generale dell'ospedale Shifa di Gaza. Con l'acqua potabile che scarseggia, nei negozi della Striscia sono rimasti generi alimentari sufficienti solo per altri 4-5 giorni dice l'Onu che spiega come l'ordine di evacuare la popolazione potrebbe configurare un crimine internazionale di «trasferimento forzato illegale di civili».

Le operazioni militari non si fermano. Hamas ha confermato che uno dei suoi principali comandanti, Ayman Nofal, è stato ucciso in un attacco israeliano mentre continua il lancio di razzi verso Israele.

L'esercito di Tel Aviv, oltre ai raid sulla Striscia, ha colpito anche obiettivi militari di Hezbollah in territorio libanese. Con il timore di un ampliamento del conflitto e la certezza dell'ennesima e tragica mattanza.

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