
"Inaccettabile" definisce la Commissione europea l'attacco israeliano all'ospedale Nasser, nella Striscia di Gaza, dove hanno perso la vita 20 palestinesi, tra cui cinque giornalisti. "Intollerabile" è l'aggettivo usato per descrivere la situazione a Gaza dalla presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, che avverte: "Non possiamo essere indifferenti. Lo dobbiamo a tutte le generazioni future". Dopo l'Onu, che chiede non solo un'indagine ma "risultati" e "giustizia", anche l'Unione Europea alza la voce all'indomani della strage di Khan Younis, dove secondo Israele 6 terroristi sono stati uccisi per distruggere una telecamera di sorveglianza di Hamas. Bruxelles ribadisce: "Civili e giornalisti devono essere protetti dal diritto internazionale". E ricorda che nel Consiglio informale Esteri del formato Gymnich di venerdì e sabato "discuteremo insieme tutte le opzioni ancora sul tavolo".
L'Unione è a sua volta sotto pressione perché su Israele passi dalle parole ai fatti. Un appello all'azione "urgente" è arrivato ieri, firmato da 209 diplomatici europei, ex ambasciatori ed ex alti funzionari Ue, in cui si esprime "profonda delusione per il fatto che, in risposta al deterioramento della situazione a Gaza, l'Ue non abbia adottato misure sostanziali per fare pressione su Israele affinché ponga fine alla sua brutale guerra, riprenda l'assistenza umanitaria vitale e smantelli l'occupazione illegale di Gaza e Cisgiordania". Consapevoli del rischio che nulla si muova in Europa a causa della necessità di decisioni comuni o all'unanimità, i diplomatici hanno proposto nove azioni a livello statale o di gruppi di Stati. Tra le proposte figura la sospensione delle licenze di esportazione di armi, il divieto di commercio di beni e servizi con insediamenti illegali e il divieto per i centri dati europei di ricevere, archiviare o elaborare dati provenienti dal governo israeliano o da fonti commerciali, se correlati alla presenza e alle attività di Israele a Gaza e altrove nei "territori occupati". È il terzo appello all'azione in ambito europeo e destinato alle istituzioni europee, dopo la lettera del 28 luglio sottoscritta da 58 ex ambasciatori Ue e quella in cui qualche giorno fa oltre 1700 funzionari dell'Unione hanno avvertito che sulla guerra a Gaza è in gioco la credibilità dell'Europa.
Nonostante le proteste di piazza, il governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu va avanti con l'offensiva nella Striscia, che avrebbe provocato ormai quasi 63mila morti secondo fonti non verificabili di Hamas. Le Idf puntano all'occupazione di Gaza City, mentre a Ramallah, in Cisgiordania, la tensione è salita di nuovo altissima dopo un'operazione mirata contro un'agenzia di cambio valuta che secondo Israele "trasferiva fondi a Hamas". Almeno 14 i feriti nel raid di Ramallah, circa 75 le vittime nella Striscia.
Da Gaza City arriva anche l'estremo atto di resistenza del mondo cristiano. Il Patriarcato latino di Gerusalemme e quello greco-ortodosso hanno annunciato che i religiosi non lasceranno la città, la più popolata della Striscia, già al centro di bombardamenti e sfollamenti e che attende la massiccia offensiva israeliana nelle prossime settimane. Il cardinale Pierbattista Pizzaballa e Teofilo III hanno spiegato che "clero e suore rimarranno" perché "cercare di fuggire verso Sud sarebbe una condanna a morte" a causa dei rischi dell'esodo. I leader cristiani hanno chiesto alla comunità internazionale di agire per porre fine alla guerra "insensata e distruttiva", e affinché le persone scomparse e gli ostaggi possano tornare a casa.
Premere sul governo israeliano per un cessate il fuoco è ormai inevitabile per molti, dagli ex rappresentanti europei ai vertici religiosi. Anche la Cina si è pronunciata, chiedendo che Israele fermi "subito" le operazioni militari a Gaza. Ma la nascita di uno Stato palestinese sembra ancora una chimera. Non solo a causa dei nuovi insediamenti approvati dal governo israeliano. Il cancellerie tedesco Friedrich Merz ha esortato Israele a non rendere impossibile la soluzione a due Stati, difendendolo dalle accuse di aver colpito intenzionalmente i giornalisti a Gaza, ma ha spiegato che la Germania non si unirà al processo di riconoscimento dello Stato palestinese perché "al momento non sono soddisfatti in alcun modo i requisti".
Anche il nostro vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani lo ha ribadito: "Non avrebbe senso adesso". E l'omologo Gideon Saar ha attaccato i governi "di sinistra" di Paesi come Francia, Gran Bretagna, Canada e Australia, "che stanno cercando di imporlo a Israele": "Sarebbe un suicidio".