L'appunto

La strategia di Matteo: bruciare tutti col gioco del cerino

Il braccio di ferro in corso sulle riforme sembra una guerra per modificare gli equilibri interni al Pd

La strategia di Matteo: bruciare tutti col gioco del cerino

Le trattative che contano non sono quelle che si fanno alla luce del sole, magari con pubblici appelli al dialogo e qualche intervista distensiva del dichiarante di turno debitamente istruito da Palazzo Chigi. Non è un caso che la minoranza Pd non sembri per il momento dare troppo credito alle presunte aperture di Matteo Renzi e continui a restare sulle barricate. Con l'obiettivo chiaro di logorare il premier che, per inciso, è pure segretario di quel Pd che la vecchia guardia guidata da Pier Luigi Bersani vorrebbe - almeno in parte - riprendere in mano. Il braccio di ferro in corso sulle riforme, dunque, non pare avere molto a che fare con la riscrittura delle norme che regolano le nostre istituzioni ma sembra più che altro una guerra per modificare gli equilibri interni al Pd. D'altra parte, dopo che la minoranza dem ha rinunciato a puntare i piedi sul Jobs Act - questione decisamente molto sentita dall'elettorato di sinistra - sarebbe curioso che facesse saltare il banco sulle riforme. E Renzi, dal canto suo, ha tutto l'interesse che la sceneggiata continui, così da passare il cerino alla sua minoranza che potrà essere additata come unico responsabile di qualunque incidente dovesse abbattersi sul ddl Boschi.

La trattativa vera, invece, il premier l'ha fatta con Angelino Alfano. E gli stracci che stanno volando dentro la ridotta di Ncd ne sono la dimostrazione plastica. Martedì, per dire, in sede di dichiarazioni di voto, la vicecapogruppo a Palazzo Madama Laura Bianconi è arrivata ad annunciare il voto favorevole su un provvedimento precisando che si riferiva a «quelli che rimangono di Area popolare» (il gruppo dove attualmente confluiscono Udc e Ncd). Curiosamente, insomma, ad anticipare pubblicamente l'imminente diaspora di chi sarebbe pronto a non votare le riforme è uno degli esponenti più filorenziani di Ncd. Dove la discriminante per schierarsi pro o contro il ddl Boschi è una sola: aver avuto la garanzia di un seggio nel Pd quando si tornerà alle urne. Portata a casa questa rassicurazione, è evidente che nessuno si sognerà di mettere a rischio la legislatura. Ma anche chi è destinato a restare a piedi ci penserà cento volte prima di far saltare il banco. Le elezioni, infatti, sono in agenda non fra qualche mese ma nel 2018. E altri tre anni di stipendio possono far comodo soprattutto a chi rischia di rimanere a casa.

Non solo dentro Ncd, ma anche nei partiti dell'opposizione.

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