La strategia della Meloni per contare di più in Ue

Lo strappo di Vox può facilitare la trattativa sui nuovi vertici per incassare una poltrona che certifichi la centralità dell'Italia

La strategia della Meloni per contare di più in Ue
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«Ma, tutto sommato...». A Palazzo Chigi non hanno certo stappato champagne per il tradimento di Vox, che ha lasciato Ecr per passare al gruppo dei Patrioti di Orban, riaccendendo così il derby nella destra europea. Però, chissà, visto dalla prospettiva meloniana, lo strappo degli spagnoli può essere anche una buona notizia. «Adesso, tolto Abascal di mezzo, il dialogo tra la von der Leyen e i conservatori sarà più facile». Già domani infatti Giorgia e Ursula riprenderanno le loro trattative più o meno riservate. La presidente della Commissione è alla ricerca di quei voti che le garantiscano una maggioranza tranquilla, e senza Vox avrà meno problemi a stringere un patto con la Meloni. La premier italiana vuole portare a casa qualche risultato: una vicepresidenza, un commissario di peso come la Concorrenza, un incarico che certifichi la centralità di Roma e il ruolo del nostro Paese nella Ue. Si metteranno d'accordo?

Dunque, «tutto sommato» la defezione degli spagnoli, per quanto pesante sul piano dell'immagine e scarsa su quello numerico, sei eurodeputati, appare il giusto prezzo da pagare alla linea «di responsabilità» pragmatica quasi centrista scelta da Giorgia. Abascal raggiunge Orban, Le Pen, l'olandese Winders e Salvini sono sul punto di farlo, i patrioti potrebbero superare Ecr e diventare il terzo gruppo a Bruxelles: ma poco importa, quello che conta per Palazzo Chigi non è il peso matematico, bensì quello politico. Senza Vox Meloni riacquista margini di negoziato imprevisti: gli spagnoli rappresentano una di quelle delegazioni con cui il Ppe non vuole avere a che fare. Intendiamoci, allo stato un'alleanza formale tra popolari e Ecr resta impossibile, però il voto segreto a Ursula sarà più digeribile. Non a caso la von der Leyen ha già detto che, tranne Left e patrioti, «la settimana prossima incontrerò tutti», compresi quindi i conservatori. In questo serbatoio allargato la presidente designata dovrà pescare i 361 voti che la mettano al sicuro dai franchi tiratori.

Negli ultimi anni la Lega ha perso due terzi quasi dei suoi elettori, lasciando le posizioni sovraniste e pagando soprattutto la partecipazione al governo Draghi. FdI invece ha capitalizzato il suo genere di opposizione, dura ma responsabile in politica estera, con l'appoggio alla scelta netta di Super Mario a favore dell'Ucraina. Ora i due partiti potrebbe fare il percorso inverso, con il Carroccio che si spinge nei territori dell'ultra destra anti europea alla caccia del consenso perduto riaccendendo la conflittualità interna e i Fratelli, istituzionali e atlantisti, che cercano di inserirsi nel grande gioco di Bruxelles. La differenza sta nel fatto che a Palazzo Chigi stavolta siede la Meloni, a capo di una maggioranza solida e con un rapporto di forza tutto a suo favore con le altre componenti della coalizione.

Per questi motivi la premier non si dispera per l'abbandono di Vox. Certo a Madrid è nato il tormentone «sono Giorgia, sono cristiana, sono una madre», e la destra di Madrid sembrava l'alleato più fedele. «Collaboreremo ancora - spiegano da FdI - restiamo noi i loro referenti a Roma». E gli spagnoli assicurano che «la collaborazione resterà strettissima, ci troveremo fianco a fianco».

Però i cambi di schieramento di Abascal e le irruenti iniziative diplomatiche di Orban con Mosca aprono nuovi scenari e possono spingere la Meloni verso il Ppe. I patrioti saranno pure tanti ma marginali. «È un gruppo ininfluente - commenta Antonio Tajani, che spinge verso un'intesa con Ursula - nessuno vuole discutere con loro». Con Giorgia senza Vox, sì.

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