«Il Sud Europa spende in alcol e donne» Bufera su Dijsselbloem

Renzi e mezza Ue chiedono le sue dimissioni ma il presidente dell'Eurogruppo: «Io resto»

Caro - si fa per dire - signore olandese dal nome impronunciabile, non vorremmo si facesse illusioni: anche noi gente del Sud, pur dediti al buon vino e alle belle donne, sappiamo parlare «all'olandese», come sostiene d'aver parlato lei. Allora, in modo «diretto, severo e calvinista», diciamo a lei, signor Jeroen Dijsselbloem, che il suo richiamo alla morigeratezza dei costumi sembra proprio (stra)fatto nel bel pieno di un «pieno» a uno dei Coffee shop che brulicano nel suo Paese, proprio lì da presso alle vetrinette «a luci rosse».

Però, ha anche due meriti impagabili. Primo: lei spiega in modo chiaro, diretto e crociano perché il suo partito alle recenti elezioni olandesi abbia perso quasi il 20 per cento degli elettori passando da 38 a nove seggi. Aggiungere che si chiama «socialista» a noi sembra un aggravante perché - sottoscriviamo il commento di Matteo Renzi - lei «appartiene al Pse ma forse non se n'è accorto» (cosa che spiega a sufficienza anche la crisi del socialismo che non fa il suo mestiere). Dunque, come sostiene il nostro ex premier chiedendo le sue dimissioni, lei «non merita il posto che occupa». Ora, anche se glielo chiede mezza Europa proprio nella settimana di celebrazioni per la firma dei Trattati di Roma, e lei con strafottenza ha già annunciato che non lo farà, ci permettiamo di ritenere la sua perseveranza affatto calvinista e ascetica, bensì dannosa e diabolica. Dovrebbe lasciare la presidenza dell'Eurogruppo anche perché non ha capito - l'ha dichiarato lei stesso - che gaffe sia stata e perché abbia suscitato un tal baccano. Lei è inadatto al suo mestiere perché continua ad arrampicarsi sugli specchi, sostenendo che la sua «frase infelice» si riferiva a tutti i Paesi; dai suoi arzigogoli si capisce che lei è il re degli euroburocrati, del tutto slegato dalla realtà e dalla relazione con un istituto che di recente deve proprio averla traumatizzata: il suffragio popolare.

Così la sua uscita banale, più che vergognosa; lo stereotipo usato su noi gente del Sud che «sprechiamo soldi in donne e alcol e poi chiediamo aiuto», dimostra una seconda cosa, più grave. Il fallimento di quest'Europa lontana dalla gente (del Sud o del Nord che sia), che non si sottopone mai a giudizio popolare e parla da «impunita» proprio perché impunibile. Non ha nulla a che vedere con la democrazia. Le sue battute «stupide», come le definisce Renzi, hanno indignato mezza Europa e sono ritenute «inaccettabili» dal suo Pse e dal presidente dell'Europarlamento Tajani; dagli spagnoli, dai greci, dai portoghesi («frasi razziste, xenofobe e sessiste», per il premier Costa). Noi italiani, come d'incanto, siamo tornati fratelli: da Grillo a Salvini a Renzi, per tagliare la sua testa «all'olandese». Fosse un pochino più coraggioso, o meno paraculo, anche il presidente Juncker l'avrebbe censurata, invece di ricordare che lui «ha sempre espresso rispetto, simpatia e anche amore per la parte Sud dell'Europa». Giusto un falco come Schauble (quello che si mise in mezzo quando il greco Varoufakis stava per suonargliele di santa ragione, ricorda?) la può difendere. Le sue offese all'Italia e agli altri partner mediterranei di voi paesi «ricchi» d'Europa, ricchi grazie all'aiuto che l'Ue vi ha concesso, sono quelle di un «tizio pericoloso, da ricovero» (Salvini).

A meno

che, sospetta Romano Prodi, non siano solo frutto di un «gran senso d'invidia». Per questo, piuttosto che offenderci, la compatiamo bevendo alla sua (prossima o nel 2018 che sia) chiara, diretta, cartesiana defenestrazione.

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