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"Sulla maternità poca consapevolezza. Fare figli è una scelta ma ha valore sociale"

Eugenia Roccella, ministro della Famiglia, 70 anni, ex militante radicale (il padre Franco fu parlamentare di Pannella), nei giorni scorsi ha promosso la conferenza europea sulla natalità a Roma con Giorgia Meloni

"Sulla maternità poca consapevolezza. Fare figli è una scelta ma ha valore sociale"

Eugenia Roccella, ministro della Famiglia, 70 anni, ex militante radicale (il padre Franco fu parlamentare di Pannella), nei giorni scorsi ha promosso la conferenza europea sulla natalità a Roma con Giorgia Meloni.

Ministro, i numeri sulla denatalità sono impietosi.

«Il problema non è soltanto italiano. Quest'anno ricorrono i 30 anni dalla conferenza sulla popolazione del Cairo, che fu una grande conferenza internazionale sulla demografia. Però l'idea allora era che ci trovassimo di fronte a un eccesso di nascite che avrebbe squilibrato il rapporto tra le risorse e la popolazione. Da lì sono cominciati i piani antinatalisti internazionali».

Sbagliato il punto di partenza?

«Sì, tant'è vero che ora noi siamo di fronte al problema della denatalità. Tutta l'Europa è sotto il cosiddetto tasso di sostituzione. E l'Italia è fra i Paesi messi peggio».

Cosa intende?

«Equivale a 2,10 figli per donna in età fertile. Questo tasso garantirebbe l'equilibrio demografico, cioè l'equilibrio tra nascite e morti. La Francia, che è il Paese più avanti in Europa nelle politiche sociali sulla natalità, è all'1,80, l'Italia all'1,25: la differenza è significativa, ma è di pochi decimali».

Forse non si fanno figli perché non ci sono risorse per mantenerli. Non è così?

«Negli anni Cinquanta si diceva ai Paesi poveri, soprattutto asiatici: voi non vi sviluppate perché avete troppa popolazione. E invece è il contrario. Quello che abbiamo imparato in questi decenni è questo: è lo sviluppo che produce la denatalità. I Paesi che si sviluppano, sul piano democratico, dei diritti, della tecnologia, dell'economia, sul piano sociale, vedono calare la natalità».

Mi faccia un esempio.

«Il più clamoroso è la Corea del Sud. Che trent'anni fa era un Paese poverissimo, con 6 figli per donna. Ora è sotto un figlio per donna. Perché hanno avuto un ritmo di sviluppo pazzesco».

Quali possono essere le risposte alla denatalità?

«Mettere in campo politiche che sostengano la famiglia, il lavoro femminile, le pari opportunità. Questo governo ha un'alta attenzione al problema, dal momento che ha introdotto le deleghe sulla natalità che prima non c'erano. Questa è una svolta. La sinistra, invece, ha sempre preferito puntare solo sull'immigrazione».

È innegabile che le donne che decidono di fare figli siano penalizzate.

«Vero. Anche il gap salariale fra uomo e donna dipende da questo. La maternità non deve più rappresentare un ostacolo nel percorso di realizzazione lavorativa per le donne. È uno dei grandi obiettivi che si è posto questo governo dopo anni di disattenzione».

A Milano, a una statua che rappresenta una donna che allatta, non è stata concessa una piazza pubblica perché la maternità «non è un valore universalmente condiviso»...

«Questo è proprio l'esempio di come la maternità non sia più percepita come un valore sociale, ma solo come una scelta individuale che non riguarda la società. Invece la gravidanza, il parto, l'allattamento al seno, non sono solo una scelta personale, sono una scelta che ha un valore sociale».

Giorgia Meloni ha detto che «il legittimo desiderio di avere un figlio non può diventare un diritto che puoi garantirti con qualsiasi mezzo». Parlava dell'utero in affitto...

«Già, perché il paradosso è questo: mentre la maternità ha sempre meno valore sociale, sembra che per avere un figlio tutto sia lecito, anche contrattualizzare la maternità, farne una questione di mercato. In questo modo viene meno il paradigma fondante del materno e anche del paterno. Questo paradigma è la gratuità, l'amore disinteressato».

La destra è stata accusata di essere femminista con le donne musulmane solo per andare contro l'islam.

«Il problema è la consapevolezza. Andiamo a vedere il film della Cortellesi, che ricorda il percorso di emancipazione che le donne italiane hanno compiuto, ma poi non aiutiamo le donne islamiche a compiere quello stesso percorso e a liberarsi dall'oppressione».

Lei una volta ha detto che la teoria gender è il nuovo patriarcato.

«Sì, perché si tratta di nuove forme più subdole e sofisticate di prevaricazione contro le donne. L'oppressione comincia quando si nega il nostro corpo di donna. Io, esattamente come J.K. Rowling, autrice di Harry Potter, trovo un sopruso che chiunque possa dire di essere donna pur avendo un corpo maschile».

Cosa le è rimasto della sua vecchia cultura radicale?

«Uh, tante cose. Intanto io sono una libertaria. E poi sono una che crede nell'iniziativa politica. Lo ho imparato dai radicali».

È rivoluzionario parlare oggi di «famiglia tradizionale»?

«Sì. C'è questa idea che la famiglia sia un luogo di egoismi, di chiusura verso il mondo. Non è così. Certo, le famiglie non sono quelle del Mulino Bianco, sono però il luogo nel quale ciascuno di noi impara la solidarietà e l'amore gratuito. Le famiglie sono la comunità».

La sua che famiglia è stata?

«Irregolare. Io sono cresciuta fino a cinque anni in Sicilia con i nonni, che non volevano lasciarmi andare. Dicevano ai miei genitori: voi la portate in un luogo di miscredenti, libertini, radicali»

Ed era vero?

«Eh sì. Ho vissuto in questa famiglia laicissima, scompigliata. Un'esperienza piena di luci e ombre. Di alcune cose ho sofferto, di altre no. Però alla fine siamo stati una famiglia.

Questo ho capito: una famiglia è una famiglia, al di là dei ruoli».

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