
I punti chiave
Se c'è un terreno in cui il governo Meloni ha dovuto da subito attraversare un campo minato è quello della cultura. Sarebbe bello dire che lo scontro si è svolto tra i campioni di una egemonia culturale gramsciana e di sinistra e gli eredi della grande tradizione culturale crociano-gentiliana. Più semplicemente i due ministri alla Cultura, il mite Gennaro Sangiuliano, prima, e il più spigoloso e creativo Alessandro Giuli, dopo, si sono dovuti scontrare con un sistema di potere calcificato nel tempo, caratterizzato da amichettismo verniciato a woke più che a marxismo. E allora ecco la complicata battaglia per fare una cultura appena appena un po' diversa e più equilibrata. Battaglia che, spesso, a sinistra è stata risolta passando al fuoco alzo zero sul responsabile del dicastero. Un mix di attacco personale e di difesa corporativa, risibilmente coperta con la foglia di fico della difesa della libertà. Allora elenchiamo (al ribasso) alcuni dei nodi di scontro. Guardandoci bene dal pensare che la destra abbia cercato di occupare la cultura perché, al massimo, ha cercato di dire la sua ogni tanto e di mettere un po' d'ordine in sprechi incomprensibili.
PREMIO STREGA
Il Ninfeo di Villa Giulia è il salottino buono della letteratura. Nell'edizione 2023 il ministro Sangiuliano entra in punta di piedi in cotanto tempio e con un certo candore. Nell'intervista a Geppi Cucciari garbato, dice: «Ho ascoltato le storie espresse nei libri finalisti questa sera e sono tutte storie che ti prendono e che ti fanno riflettere. Proverò a leggerli». Segue linciaggio mediatico perché non li ha letti. Inutile ricordare l'ovvietà che è la situazione più o meno di tutti gli Amici della domenica. Giusto per dire nel 2024 furono candidati 82 titoli per 20mila e 500 pagine. Potevano essere letti? Nel 2025 poco cambia e seconda tornata di polemiche. Il ministro Giuli, con una certa coerenza, si dimette dagli Amici della domenica appena nominato al dicastero. Fa sapere che al Ninfeo non pensa di andare: ha a un incontro con il suo omologo tedesco; per altro segnala che dallo Strega i libri finalisti non glieli hanno fatti pervenire. Apriti cielo. Poi però emerge qual è il nodo del contendere vero. Per il 2026 il ministero della Cultura si riserverebbe di offrire alla Fondazione Bellonci la sede di Cinecittà in Via Tuscolana 1055. Questo in coerenza con i princìpi del Piano Olivetti per la valorizzazione delle periferie metropolitane. Non proprio un dito in un occhio alla vecchia cultura gramsciana, di certo un dito in un occhio per certe eleganze radical chic.
FINANZIAMENTI AL CINEMA
Entrambi i ministri hanno dovuto fare i conti con l'enorme quantitativo di denaro pubblico che va a finanziare anche pellicole che nessuno vedrà mai. Ultima puntata dello scontro: Elio Germano durante la giornata dei David: «Piuttosto che piazzare i loro uomini come fanno i clan nei posti chiave, si preoccupassero davvero di fare il bene della nostra comunità mettendo le persone competenti nei posti giusti e incontrando i rappresentanti di categoria per risolvere davvero i problemi». E poi via con la solita raccolta firma tra gli addetti ai lavori. Due fatti per dar conto della realtà. Il ragazzo dai pantaloni rosa della giovane regista Margherita Ferri ha ricevuto, nel 2025, 200mila euro. La pellicola racconta la storia vera di Andrea Spezzacatena, vittima di bullismo omofobo. Difficile pensare un tema più inclusivo, per usare una parola di cui un certo cinema abusa. È stato uno dei film più visti del 2024. In questo caso il ministero non ha scelto bene? Forse sì il che, evidentemente, comporta di non parlarne. Il presunto killer di Villa Pamphili, è riuscito a farsi erogare dal Ministero della Cultura 863mila euro di tax credit per produrre un film, di fatto, a oggi, inesistente. Basterebbe questo a far capire le ragioni di Giuli e di Sangiuliano.
NOMINE
Non va mai liscia con le nomine all'interno di un ministero ma, in questo caso, ogni scelta è stata sottoposta ai raggi X. Difficile dire qualcosa sulla nomina di Pietrangelo Buttafuoco alla Biennale di Venezia. Poliedrico e fuori dagli schemi ha anche riportato in vita, dopo 53 anni la storica rivista edita dalla Biennale. Solo una bordatina di Micromega che lo definì mina vagante... Insomma il colpo migliore messo a segno dal governo Meloni in questo campo. Per tutto il resto polemica garantita. Persino la nomina al Cepel (Centro per il Libro e la Lettura) del giornalista Adriano Monti Buzzetti da parte di Sangiuliano si trasformò nella «cacciata» del suo predecessore Marino Sinibaldi. Ora il tema caldo per Giuli è invece quello della nomina dei direttori di 5 musei di prima fascia. Non essendo soddisfatto delle terne proposte dalla commissione.
TEATRI E FESTIVAL
In Italia sono tantissimi e, alla fine, delle scelte vanno fatte. L'apice dello scontro si è avuto appunto giovedì 19 giugno, quando Angelo Pastore, Alberto Cassani e Carmelo Grassi hanno presentato le loro dimissioni dopo che gli altri membri della commissione avevano annunciato la perdita dello status di nazionale per il Teatro la Pergola di Firenze. Per il ministero colpa di un progetto carente. Il direttore artistico Stefano Massini ha subito parlato di attacco personale e politico.
Quando le cose funzionano invece come, facendo un salto indietro, con il Salone del libro, dove la nomina di Annalena Benini (non proprio un emblema della destra) ha garantito continuità, nessuna protesta. Solo la sensazione che sia tutto dovuto.