
Nella storia trattare con i russi non è mai stato facile e ad accorgersene in questi mesi è stato anche Donald Trump. Fiducioso di riuscire a ottenere un accordo con Vladimir Putin in tempi brevi, con il passare del tempo si è accorto della difficoltà di parlare con un interlocutore ostico come il presidente russo. La fiducia iniziale si è trasformata in frustrazione dopo gli incontri di Doha tra gli alti rappresentanti della diplomazia americana e russa e in seguito alle telefonate tra i due presidenti fino ad arrivare al punto in cui Trump ha reso pubblica tutta la propria contrarietà al modo di agire di Putin. Dopo vari colloqui telefonici in cui il presidente americano registrava a parole passi in avanti sulle trattative, nei fatti i russi continuavano non solo ad avanzare in Ucraina ma a intensificare gli attacchi e i bombardamenti.
In vista dell'incontro tra i due in Alaska è perciò bene tenere a mente le modalità con cui la Russia è solita condurre le trattative durante le guerre con numerosi precedenti che affondano le proprie origini non solo nel Novecento ma nei secoli passati. Vladimir Putin attinge infatti il proprio retroterra ideologico da un lato nella Russia zarista e dall'altro nell'Unione Sovietica facendo sue le lezioni apprese dal popolo russo in questi due momenti storici. L'importanza della diplomazia durante l'impero zarista è riassunta nel cosiddetto "grande gioco" che contrappose Russia e Regno Unito in Medioriente e Asia centrale nel corso del XIX secolo. Si tratta di una contesa diplomatica e dei servizi segreti tra le due superpotenze dell'epoca raccontata da Peter Hopkirk nell'omonimo libro.
Ma è soprattutto dalla cosiddetta dottrina Gromyko, teorizzata da Andrej Gromyko, ministro degli Esteri dell'Unione Sovietica dal 1957 al 1985, a cui si ispira la strategia negoziale del Cremlino. Questa dottrina si basa su tre principi di fondo: formulare richieste massime, presentare queste richieste sotto forma di ultimatum, infine non cedere su niente.
Puntare al massimo (anche per ottenere ciò che non si è mai avuto) è un modo di agire rafforzato da un ultimatum con l'obiettivo di trovare un interlocutore in Occidente che sia disponibile a negoziare. La strategia è tanto semplice quanto efficace: chiedere di più è un modo per ottenere la metà o un terzo che non si aveva all'inizio della trattativa.
Non è un caso che, se si analizzano le dichiarazioni di Putin e dei principali esponenti della diplomazia russa, ci sono due costanti: la spartizione dell'Ucraina e l'eliminazione dell'Europa dal tavolo delle trattative. Nel primo caso ad essere messa in discussione è la sovranità dell'Ucraina e perciò il riconoscimento del suo presidente Zelensky, non a caso già a gennaio Putin aveva affermato che "a causa della sua illegittimità, Zelensky non è in grado di firmare nulla". La volontà di trattare alla pari con Donald Trump escludendo dal tavolo delle trattative sia l'Ucraina sia l'Europa era emersa sempre a inizio anno nella posizione del Cremlino.
Difficilmente Trump potrà ottenere un risultato soddisfacente dalle trattative con Putin se non riuscirà a entrare nella mente dello Zar facendo propria una delle massime de L'arte della guerra di Sun Tzu: "Conosci il tuo nemico".