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Quel "tempio del popolo" di un Paese a rischio suicidio

Il governo gialloverde discuterà la manovra con la Ue a 40 anni dal massacro in Guyana. Quante analogie...

Quel "tempio del popolo" di un Paese a rischio suicidio

Il 18 novembre del 1978, una data vicina quarant'anni dopo a quel 13 novembre in cui la commissione Europea pronuncerà il suo verdetto definitivo sull'Italia, il reverendo Jim Jones, un uomo politico americano, ex assessore all'edilizia al comune di San Francisco, che immaginava di essere la reincarnazione di Cristo e di Lenin, dopo aver condotto la sua setta in Guyana e aver accusato la Chiesa, il governo Usa e la Cia di complottare contro di lui, ordinò ai suoi 911 seguaci il suicidio con il cianuro «per difendersi dall'imminente invasione delle forze del male». La setta si chiamava il «Tempio del popolo» ed è inutile dire che non c'entra nulla con il populismo dei nostri giorni. Come pure il reverendo Jones non ha a nulla che vedere con Giggino Di Maio o Matteo Salvini, anche se entrambi si paragonano a Franklin Delano Roosevelt. E, sicuramente, anche se qualche affermazione dei leader gialloverdi può far immaginare il contrario, l'Europa non rappresenta le forze del male, né tantomeno le fobie per la Commissione Ue, la Bce e i mercati possono essere accostate a quelle del reverendo Jones per la Chiesa, i burocrati di Washinton o la Cia.

Quello che, invece, ricorda in qualche modo i comportamenti della «setta del Tempio del popolo», sono il fideismo, l'ossessione, il dogmatismo casalingo con cui grillini e leghisti perseguono la loro scelta di imporre a Bruxelles una manovra contestata nei numeri anche da Bankitalia, Corte dei Conti, ufficio parlamentare per il bilancio. Oppure la sufficienza con cui se ne fregano dello spread: hanno già imparato a convivere con un spread oltre i 300 punti e, magari, a sentire il loro profeta, il ministro Paolo Savona, si preoccuperanno, ma poi neppure tanto, solo se sfonderà quota 400. Una strategia portata avanti senza dubbi, visto che, non avendo letto Karl Popper, quella categoria non gli appartiene. Anzi, dubitare, come nelle ideologie di un tempo, è un'offesa. Tant'è che chi tra le loro fila qualche dubbio lo nutre, come il sottosegretario Giancarlo Giorgetti che considera la soglia dei 400 punti una catastrofe («le banche entrerebbero in sofferenza e andrebbero ricapitalizzate senza indugio»), viene guardato con diffidenza per non dire fastidio. «I gialloverdi sono degli invasati», è il giudizio di Carlo Fidanza, che pure in 30 anni di militanza a destra è stato educato al motto «credere, obbedire, combattere». Mentre il costituzionalista piddino Stefano Ceccanti, la butta sull'ironia: «Chiederò al presidente Fico di commemorare alla Camera il quarantesimo anniversario del suicidio dei populisti del reverendo Jones».

Al di là dei paradossi e del sarcasmo una cosa, però, è certa: il 13 novembre o Salvini e Di Maio vinceranno la loro scommessa, improntata all'azzardo più rishcioso; o, nei prossimi mesi, si consumerà, se non il suicidio, la tragedia che aleggia su questo Paese. Ma di questi timori condivisi da Sergio Mattarella, Mario Draghi, da Bankitalia, dalle istituzioni europee e dalle opposizioni italiane, nei discorsi dei gialloverdi non vi è traccia. Anzi. «Sono i burocrati di Bruxelles, i vari Juncker si sfoga Vito Crimi, sottosegretario pentastellato all'editoria - che si stanno suicidando. Che stanno facendo harakiri. Sono pazzi, stanno regalando una campagna per le europee ai populisti: e meno male che in Italia i populisti siamo noi, ci conoscete; tra quelli che, invece, girano in Europa, ci sono pure i nazisti. Eppure ero convinto che, visto che sono a fine mandato, i vertici Ue avrebbero aperto un dialogo. Invece, hanno scelto il muro contro muro e saranno spazzati via: in questo scontro con noi, gli altri Paesi hanno la prova che prima vogliono somministrare la cura greca all'Italia, ma poi, anche a loro». Addirittura nella foga anti-europeista i grillini sono pronti a rivalutare, con un paragone poco calzante, pure il Cav. Si proprio lui. «A noi è il giudizio perentorio del calabrese Riccardo Tucci dell'Europa non frega un cavolo. Ho rivisto anche le mie convinzioni su Berlusconi: nel 2011 la Ue proprio perché il Cav stava facendo cose giuste, glielo ha messo in quel posto. Ma a noi non succederà, noi abbiamo dalla nostra il popolo».

Fin qui l'esaltazione grillina. Ma dalle parti della Lega la situazione non cambia. «Avanti, costi quello che costi», è la carica che suona il pugliese, Roberto Morti. «Io confida il coordinatore della Campania, Gianluca Cantalamessa - ho una laurea in Economia e un master finanza, e la parola spread non l'ho mai incrociata nei libri di studio». Mentre il leghista Luca Paolini ha ingaggiato ieri a Montecitorio un duello con la piddina Alessia Morani proprio sull'Europa davanti ad una scolaresca. «La Commissione Ue non è democratica», ha esordito. «Ma se è espressione di tutti i paesi dell'Unione», è stata la replica della Morani. «Appunto è stata la sentenza di Paolini ma proprio per questo Malta e Lussemburgo non possono valere come l'Italia». Insomma, per il vecchio continente lo slogan grillino «una testa un voto» non conta. Da quelle parti, infatti, l'Europa è una matrigna, la grande corruttrice. E magari, qualche volta, pure a ragione. Solo che poi la razionalità si perde nei meandri dei social, dove la setta assume davvero le sembianze del «tempio del popolo» del reverendo Jones. Qui gli «euroimbecilli» sono insultati, indicati al pubblico ludibrio. Non per nulla per correre ai ripari il senatori di Forza italia Nazario Pagano si è inventato anche una proposta di legge per impedire il linciaggio di chi non la pensa come la setta. «Vogliamo obbligare spiega - i social a richiedere il documento di identità all'atto dell'iscrizione. La forza della setta si basa sui troll».

Già, a volte nell'esaltazione, nel dogmatismo, nell'ossessione non si rischia il suicidio del corpo, ma quello della ragione. Si perdono i connotati della realtà: anche se Giorgetti è preoccupato per le banche, anche sei nostri istituti sono a rischio, ieri l'italiano Andrea Enria non è stato nominato dalla Commissione Economia del Parlamento di Strasburgo nel ruolo strategico di capo della vigilanza delle banche perché è venuto meno il voto del leghista, Marco Zanni. Ora quell'incarico potrebbe andare ad un'irlandese o a un francese. Scelta dettata dall'antipatia (politica) verso Enria, che si è trasformata in puro masochismo, dato che sta per cominciare un altro risiko delle banche, a cominciare all'accorpamento di Mps con Bpm, Ubi, Bper proprio per diluire il capitale pubblico che sostiene la più antico istituto di credito italiano. Un'operazione che passerà proprio sotto il vaglio del capo delle vigilanza delle banche europeo.

E, invece, in quel ruolo strategico, ci sarà uno straniero al posto di un italiano: un masochismo, un paradosso, un mezzo suicidio, appunto, in salsa sovranista.

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