Tentano di rapire 3 bambini. Arrestati due fratelli kenioti

In Brianza una donna entra in un oratorio e trascina i piccoli. Bloccato anche l'uomo che la aspettava fuori

Tentano di rapire 3 bambini. Arrestati due fratelli kenioti

«Non dimenticherò mai quel gesto. E quella donna tranquilla, pacata. Che entra in oratorio, prende per mano tre bambini - per lei tre sconosciuti, personcine mai viste - e li trascina via come sacchi da tirarsi dietro. Incurante delle loro proteste. E di noi adulti che eravamo lì, attoniti, allarmati. Se non l'avessimo fermata cosa sarebbe accaduto? Era già buio... Dove avrebbe potuto portarli, cosa avrebbe fatto ai nostri figli?».

Nella caserma dei carabinieri di Arese la donna guarda i militari dritto negli occhi in cerca di una risposta che non c'è. Tormentandosi senza sosta le mani, infilandole tra i capelli come per dipanare pensieri annodati, indistricabili. È domenica sera a Carugate, paesino proteso verso la Brianza, a una quarantina di minuti da Milano e noto soprattutto per un enorme centro commerciale. All'oratorio «Don Bosco», centralissimo punto di ritrovo domenicale (e non) per bambini e genitori in cerca di un pomeriggio moderatamente tranquillo, non sanno ancora capacitarsi di quanto accaduto. Intorno alle 18, infatti, una giovane donna di colore ha fatto il suo ingresso nell'oratorio, ha afferrato per le braccia tre bambini - due maschietti, fratelli di 7 e 10 e una bambina undicenne - tentando di portarli all'esterno, dove è stata bloccata da alcuni genitori che hanno poi chiamato i carabinieri. Mentre si svolgeva questa scena il fratello della donna era in piedi, fuori dal cancello che recinta la struttura. «Sembrava la stesse aspettando. Forse voleva aiutarla» hanno spiegato alcuni testimoni ai carabinieri. Alla fine i due fratelli - lei 34, lui 38 anni - che parlano italiano con grande difficoltà, sono stati arrestati, entrambi con l'accusa di tentato sequestro di persona e portati nel carcere di san Vittore.

«Quella donna la conosciamo tutti - spiegano in paese - Viene dal Kenya e vive con il fratello qui, nei dintorni di Carugate. Lui lavora per un'impresa di pulizie, lei resta a casa, da anni si vocifera abbia anche qualche precedente, ma vecchio e di scarsissimo rilievo. Probabilmente non farebbe male a una mosca». Altri dicono: «Si vede che non sta bene anche se da queste parti non risulta sia mai stata in cura per problemi psichici. Insomma, non è seguita da un medico o da una struttura. Però, chissà cosa sarebbe potuto accadere se non l'avessero fermata. Di questi tempi non si sa mai...».

Al vaglio della Procura di Monza, che coordina i carabinieri di Vimercate e Arese nell'inchiesta aperta su quanto accaduto, restano le possibili motivazioni del gesto dei due fratelli. Tutto questo mentre il paese si spacca sull'interpretazione del caso. C'è infatti chi trasecola dinnanzi alla notizia, ipotizzando l'esistenza di una sorta di tratta di minori. Altri invece sono concordi nell'affermare che la donna non stia bene, che l'arresto sia stato una forzatura e che tutto si potesse chiudere con un tso (trattamento sanitario obbligatorio, la vecchia camicia di forza), ipotizzando infine un ruolo marginale se non addirittura inesistente per il fratello, forse completamente all'oscuro delle intenzioni della sorella.

I più allarmati, comprensibilmente, restano i genitori dei bambini. In particolare quelli che sono stati testimoni diretti dell'inquietante scena.

«Drammatico e oscuro il tentativo di sequestro dei tre bambini - ha commentato sulla sua pagina Facebook Mariastella Gelmini, vice capogruppo alla Camera e coordinatrice lombarda-. Un episodio grave in un luogo, come l'oratorio, destinato alla serena convivenza e che ci induce ad alzare il livello di attenzione. Perché quando sono i più piccoli a rischiare siamo tutti chiamati a reagire, anche con forza se occorre».

«Tra alcuni giudici serpeggia il buonismo - aggiunge Riccardo De Corato, capogruppo di Fratelli

d'Italia-Alleanza Nazionale in Regione Lombardia - e non vorrei che i due kenioti venissero presto rimessi in libertà. Ci vuole certezza della pena, questi immigrati devono pagare per il reato infamante di cui si sono macchiati».

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