Terrorismo, armi, droga: preso il boss turco Boyun

Arrestato con altri 17: almeno 20 omicidi in patria. Le toghe smentiscono il ruolo degli 007 di Ankara

Terrorismo, armi, droga: preso il boss turco Boyun
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Baris Boyun siede con posa da leader, su una scrivania dorata, sedie di velluto e bandiera turca alle spalle. Nei post ritrovati sui computer, propaganda idee contro l'uso di droghe sintetiche, afferma la sua immagine di forza con video del suo gruppo criminale ritratto con armi pesanti oppure intento a violenti pestaggi. «Ho iniziato a uccidere per vendetta, vengo dalle strade, un giorno morirò nelle strade», racconta di sé. L'autoritratto di un capo politico, non solo di un criminale.

Il suo arresto, ieri all'alba a Viterbo, insieme ad altre 17 misure, quasi tutte nei confronti di connazionali turchi, ad eccezione di un italiano, pone fine - secondo gli inquirenti - a un'organizzazione «spietata» e con notevole «capacità criminale», estremamente ramificata, al punto da essere penetrata non solo in Italia ma anche all'estero e fuori dall'Europa. Gli arresti sono avvenuti tra l'Italia, la Bosnia e la Svizzera, uno a Rotterdam. Si contesta loro una sfilza di reati, di cui due - la banda armata e l'attentato - con finalità di terrorismo. Gli altri sono omicidio, associazione a delinquere, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, importazione di armi da guerra e tentata importazione di droga.

La volontà di Boyun, delle sue donne (la moglie Ece, in prima fila) e dei suoi uomini, è per gli inquirenti quella «di interferire con lo status quo esistente in Turchia», scalzando il gruppo attualmente al potere, che corrompe lo Stato e lo considera come un criminale di quarta categoria». La pericolosità del gruppo - emerge dall'indagine coordinata dalla neo procuratrice aggiunta milanese Bruna Albertini e condotta dallo Sco della polizia e dalla guardia di Finanza, con la cooperazione delle polizie internazionali anche turca è data dai soldi, tanti soldi, raccolti tramite procedure di origine antichissima - il token e la hawala - che quasi impediscono il tracciamento del denaro. E dall'arsenale in loro possesso, dal potenziale micidiale: armi clandestine e da guerra, armi pesanti e uzi, bombe a mano, un bazooka anticarro, con le quali attraversano tutta l'Italia. Servono - si legge nell'ordinanza del gip Roberto Crepaldi - non solo a proteggere il gruppo, il capo, gli aderenti. Ma anche sono strumentali al raggiungimento degli obiettivi «latu senso politici» di Boyun. Quando - intercettati - parlano dell'attentato (sventato) a una fabbrica per colpire il rivale, dall'altissima caratura criminale, si compiacciono al pensiero che ne parlerà tutta la Turchia. «Faremo puntare su di loro gli occhi dello Stato e poi li spaventeremo noi, perché all'ingresso ci siamo noi!», dicono mentre le microspie ascoltano la viva voce degli indagati. Boyun, ritenuto il mandante di un omicidio a Berlino, a pochi passi da un bar a Checkpoint Charlie, a marzo scorso, era sul territorio nazionale con la moglie dal 2022. Ma da parte loro, hanno confermato gli inquirenti, «non sono emersi attentati programmati in Italia».

Fermato a Rimini sulla base di un mandato di arresto internazionale per una ventina di omicidi in patria, resta in Italia senza essere estradato ad Ankara per ordine della corte d'Appello di Bologna perché, hanno spiegato gli inquirenti, «la richiesta era molto scarsa».

Da tempo al gruppo - trapela - stavano dando la caccia gli 007 di Istanbul. Un punto su cui gli inquirenti hanno mostrato massimo riserbo. «Non abbiamo avuto rapporti con l'intelligence turca», ha tagliato corto il procuratore milanese Marcello Viola.

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