Economia

Thyssen vuole lasciare lo stabilimento di Terni. Da Alitalia a Ilva le grandi crisi restano irrisolte

I piani dirigisti giallorossi congelati dal virus. Timori per Umbria e Taranto Trenitalia perde 2 miliardi: impensabile che ora Fs salvi la compagnia aerea

Thyssen vuole lasciare lo stabilimento di Terni. Da Alitalia a Ilva le grandi crisi restano irrisolte

«Lo stabilimento non è più strategico». Torna a riecheggiare l'eufemismo più noto del mondo del lavoro: stavolta nel mirino della possibile dismissione c'è l'acciaieria Ast di Terni, di proprietà del gruppo tedesco Thyssenkrupp.

Riapre l'Italia, si riaprono le ferite delle grandi crisi industriali che covavano sotto la cenere. Da Alitalia a Ilva, tutte le situazioni critiche per le quali il governo aveva arrangiato soluzioni temporanee, spesso poco credibili, rispuntano aggravate nell'Italia del coronavirus-Fase 2.

Per l'Ast di Terni, l'annuncio è arrivato direttamente sul sito della Thyssenkrupp a firma del Ceo Marina Merz: si parla di una riorganizzazione di tutto il business a fronte delle difficoltà del mercato. Per la storica acciaieria umbra, il gruppo «sta cercando una partnership o una vendita». L'annuncio è particolarmente allarmante anche perché arriva in concomitanza con i pessimi segnali in arrivo dalla ex Ilva di Taranto. Ben pochi avevano creduto alla pace firmata da governo e azienda al solo scopo di evitare di infilarsi nella palude di una causa civile infinita. Ci si aspettava che il peggio sarebbe arrivato a novembre, quando il gruppo franco-indiano Mittal, in base agli accordi, avrebbe dovuto decidere, in base agli accordi, se entrare in una newco con capitale in parte pubblico o se abbandonare il grande stabilimento di Taranto al suo destino. Il Covid-19, dicono da Taranto, è diventato il paravento per accelerare il disimpegno.

«Le relazioni industriali non sono mai state così sfilacciate -racconta Valerio D'Alò, della segreteria nazionale dei metalmeccanici Cisl. L'azienda ha ordini eppure mette in cassa integrazione più operai del previsto, per di più avvisandoli all'ultimo minuto, tanto che giorni fa un centinaio di dipendenti si è recato al lavoro e ha trovato il badge per timbrare disabilitato». Secondo il rappresentante della Fim Cisl, restano in ballo arretrati da pagare ai fornitori per 40 milioni di euro.

«Il pericolo - spiega D'Alò- non sono i posti di lavoro. La strategicità dell'Ilva è tale che se si blocca nel momento in cui si tenta di far ripartire il manifatturiero, potrebbe trovarsi in difficoltà l'intero Paese». D'Alò fa l'esempio di un ordinativo piazzato da Finmeccanica presso Ilva proprio per fare sistema, e ora del l'azienda franco-indiana si ripercuote sul committente, ritardandone gli affari.

Oggi ci sarà un incontro tra governo, sindacato e azienda. La Fim Cisl esorta a evitare polemiche su cosa non si è fatto durante il Covid, quando il governo era comprensibilmente concentrato su altro. Ma a venire al pettine sono altri nodi: le scelte dirigiste dell'esecutivo giallorosso, che prevedevano un ruolo centrale di aziende a capitale pubblico, sembravano piano fuori tempo prima del virus. Oggi appaiono davvero velleitari.

Basti pensare al progetto di affidare le sorti di Alitalia a una cordata, mai formatasi, che ruotava intorno alle Ferrovie dello Stato. È di pochi giorni fa la notizia che il ramo più profittevole dell'azienda del trasporto su binari, ha ricevuto un colpo durissimo dall'emergenza coronavirus: a fine anno si prevede una perdita di quasi due miliardi di fatturato per Trenitalia, che ha già bussato alle porte dello Stato.

La questione è già politica. La presidente dell'Umbria Donatella Tesei si è fatta avanti: «Pronti a supportare un nuovo piani industriale per Ast». E Matteo Salvini ha già incardinato la polemica: «Il governo alzi il telefono e chiami Arcelor Mittal e Thyssen».

Per il ministero dello Sviluppo torna la stagione di fuoco.»

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