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Il ticket di Maroni: "Salvini-Meloni alle Politiche"

Il presidente lombardo: "Le elezioni di Milano possono essere l'inizio della fine per Renzi. Ma il centrodestra

Il ticket di Maroni: "Salvini-Meloni alle Politiche"

Roma«Le elezioni a Milano possono essere l'inizio della fine per Renzi. Ma per vincerle serve un centrodestra unito: se ci dividiamo il governo si rafforza». L'avvertimento arriva da Bobo Maroni, ospite ieri dell'appuntamento annuale di Atreju, la festa di Fratelli d'Italia a Roma.

Il governatore della Lombardia, intervistato sul palco dal direttore del Giornale Alessandro Sallusti, non nasconde la sua preoccupazione per l'appuntamento «centrale» del prossimo anno, quello che - dice - può segnare un momento di svolta nella politica italiana: «Se riusciamo a vincere, notificheremo l'avviso di sfratto per Renzi», ma mette in guardia il centrodestra: «Attenti, perché il centrosinistra sta governando a Milano e si sta organizzando per vincere: non lo sottovalutiamo». Quindi occorre sbrigarsi a trovare un candidato, «facendo le primarie, anche se a Berlusconi non piacciono». Un candidato che «non può essere della Lega - dice escludendo seccamente una candidatura Salvini - perché io governo la Regione». E soprattutto ricostruendo «il modello di coalizione che funziona in Lombardia e in Liguria: da noi a Forza Italia, che ha ancora un grande consenso, tutto di Berlusconi, a Fdi fino a Ncd». Agli alfaniani però va chiesta una decisione chiara: «In Lombardia devono prendere le distanze da Ncd di Roma, quello che sta con Renzi al governo». In ogni caso, «non abbiamo alternative a stare tutti insieme». Una volta vinto a Milano, si potrà pensare a riconquistare il governo anche a Roma, e «se la Lega continuerà ad essere il partito di maggioranza relativa» nella coalizione, Maroni non esclude, sia pur senza mostrarsi troppo entusiasta, una candidatura a premier di Salvini, «ma in quel caso perché non pensare ad un ticket con Giorgia Meloni», aggiunge, vellicando gli umori della platea di cui Meloni è l'eroina. Sulla riforma del Senato, il governatore della Lombardia è molto critico. Tanto da mettere sul piatto un avviso pesante: «Se il ddl passa così com'è, continuare a fare il governatore sarebbe inutile: avrei tutte le responsabilità senza avere né poteri né risorse. E io non lo farò». In pratica una minaccia di dimissioni.

Perché il disegno che Matteo Renzi vuol realizzare con questa riforma, assicura, «è quello di cancellare sostanzialmente le Regioni, facendo tornare tutto il controllo a Roma», svuotando le competenze territoriali: «Ci toglie quelle sulle politiche attive per il lavoro, sulla sanità che rappresenta l'80% dei nostri bilanci, sull'ambiente, sulle politiche sociali: in pratica un ritorno indietro di vent'anni. E su quelle che ci lascia c'è la clausola di supremazia dello Stato centrale. E allora a che servirà avere governatori eletti direttamente dal popolo?». Né c'è da sperare nella possibilità di ribaltare le cose con il referendum confermativo: «Renzi avrà buon gioco a dire che ha cambiato tutto, è un grande venditore. E il centrodestra rischia di essere cancellato sul territorio». L'unica speranza, dunque, è di riuscire a imporre qualche modifica in extremis, «e quindi bene ha fatto Calderoli a presentare i suoi milioni di emendamenti, una cosa da Guinness dei primati». Maroni liquida il ddl Boschi e il futuro Senato delle Regioni come «un gran casino, per dirla in termini tecnici», ben lontano da quel modello del Bundesrat tedesco, «peraltro non elettivo». Mentre «per tenere insieme il Pd spaccato si è trovato un compromesso che è solo un guazzabuglio».

E anche l'Italicum non piace per nulla a Maroni: «Obbligherà il centrodestra a fare un listone, e per la Lega sarà un grande problema: può un partito così fortemente identitario annegarsi in un listone senza perdere appeal ? È proprio quel che vuole Renzi, e che Fi l'abbia votato in prima lettura mi resta incomprensibile».

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