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La tomba è un pilastro della nostra civiltà: è la casa dei morti edificata dalla pietà dei vivi

Nei cimiteri dove dovrebbe regnare la pace si è imposta una barbarie infinita

La tomba è un pilastro della nostra civiltà: è la casa dei morti edificata dalla pietà dei vivi

È atroce, riguarda l'interezza dell'uomo, ti ficca con la bocca incerottata in un buco di catrame: ecco perché vorrei in un abbraccio di consolazione tendere le mani all'onorevole Andrea Romano che ha perduto un figlio di ventiquattro anni e che aspetta per il ragazzo, da due mesi, una degna sepoltura che a Roma pare ormai vietata. Ma è vietata non solo al deputato del Pd. Aspettato migliaia di bare, e dunque di cadaveri che hanno madri, figli, nipoti, amici, un pezzo di terra o un cimitero che le ospiti affinché la Civiltà possa ancora essere riconosciuta in questo tempo nero, anzi, di barbarie.

Abbiamo visto sfilare carri di piombo colmi di bare di piombo. E abbiamo stampato in petto file ininterrotte di bare. Però nessuno sapeva o lo aveva dimenticato o non ne parlava (io no) che il cimitero del Verano (forse il monumentale più grande d'Europa) e in genere molti altri cimiteri sono abbandonati all'incuria. Che dico: sono sfasciati. Sembrano sfasciacarrozze, appunto, e non i luoghi dove i morti riposano in pace e i vivi andando in loro visita trovano consolazione. No, la barbarie quando si distende rivela un ulteriore livello di barbarie. Non c'è fine. E proprio ora che la morte è così umana e sacra, i defunti navigano nell'indegno, in un mare di disperazione per i vivi.

È da tempo che il famigerato Editto di Saint-Cloud (promulgato in Italia nel 1806) pare venga di continuo esteso sotto forma di cremazione dei defunti. A parte coloro che ne ambiscono e fanno pratica per motivi culturali e religiosi, la cremazione pare abbia in sé la volontà di restringere gli spazi di terreno per i morti.

E se la legge napoleonica era sostenuta dalla ideologia giacobina e da esigenze sanitarie (dunque pur avversata dal Foscolo, possedeva un senso, era legittimata dalla realtà); la scia di quella legge, invece, si applica con strumenti subdoli e diretti a distruggere la memoria della nostra Civiltà. Dagli egizi, agli etruschi, ai romani, ai cristiani: tutti hanno costruito tombe a immagine della casa dei vivi. Tutti. Solo nei casi eccezionali di pestilenze o guerre i cadaveri venivano bruciati. Oppure, come ci insegna ancora l'Iliade, i guerrieri periti in battaglia erano arsi perché non avrebbero più potuto vedere la patria. Comunque Priamo si inginocchiò ai piedi di Achille affinché questi gli riconsegnasse le membra di Ettore. Anche gli eroi sono sulle spalle del mito. E il mito non è una parola e basta. Vive tra noi. Ha una profondissima spirale umana che ci tocca adesso, oggi. Almeno fino a quando potremo chiamarci uomini. Fino a quando il padre, il figlio, il marito, gli amici, non avranno trovato dove seppellire il loro caro e lì andarlo a cercare. È inutile che citi Foscolo. Sono stanco. E però va ricordato che in quel «rapporto» tra vivi e morti c'è la parola «celeste» che indica per il laicissimo poeta-soldato la sconfinata interiorità e sacralità che regna tra vivi e morti. Molti, infatti, sanno che i trapassati continuano a vivere con noi.

Quindi nella ricostruzione della Civiltà, alle parole chiave: Lavoro, Scuola, Sanità, va aggiunta Cimiteri. Vanno aggiunte le tombe per i nostri morti. È da tempo che nessuno ricorda l'abbandono, l'oblio immediato dei defunti quando proprio la morte è sinonima di Croce. In esergo all'Eneide troviamo le parole di Hermann Broch: ...

soltanto dal perfetto, compiuto significato della morte scaturisce l'immenso significato della vita.

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