Giuseppe Conte, maestro di eufemismi, ieri si è superato, parlando del tavolo sull'autonomia a Palazzo Chigi come «mattinata di lavoro molto intensa» e di «lavoro alle battute conclusive». Niente di più lontano dalla realtà.
Ieri per il governo gialloverde è stato un giorno ad alta tensione sia sul tema della sicurezza che sull'autonomia, riguardo al quale la trattativa fatto un secco passo indietro scatenando l'ira dei governatori del Nord. Al tavolo lo scontro esplode quando il capo di gabinetto del ministro Toninelli, Gino Scaccia, prende la parola citando la sentenza della Consulta n. 76/2013, che escluderebbe l'autonomia regionale in tema di scuola. Scaccia, docente di diritto costituzionale dal temperamento fumantino, provoca una sollevazione da parte dei tecnici del settore di parte leghista che lo accusano di andare fuori tema. In una successiva intervista all'Agi, il ministro dell'Istruzione Bussetti replica stizzito: «La sentenza citata recita per l'appunto nell'attuale quadro normativo, dunque lasciando libero il legislatore di modificare le norme senza intaccare la Costituzione».
Ma la verità è che non è aria di compromessi tra i soci di governo. Anzi. Da parte leghista c'è la netta sensazione che il M5s tiri a prendere tempo. All'uscita da Palazzo Chigi si scatenano le protagoniste della trattativa. Il ministro Barbara Lezzi tira fuori l'accusa che terrà banco per tutta la giornata: «Loro chiedono le gabbie salariali, una cosa che porterebbe indietro di 50 anni». «Nessuna gabbia salariale, -replica il ministro per gli Affari Regionali Erika Stefani- sono strumenti che già esistono nell'ordinamento». Per i leghisti è una provocazione. Il testo sul tavolo, in realtà, dà facoltà alle Regioni di contrattare incentivi agli insegnanti per coprire destinazioni meno appetibili o più costose, come le grandi città del Nord, ma nessuno dice che al Sud bisogna tagliare gli stipendi. Bussetti cita l'esempio degli incentivi ai magistrati per rendere più allettanti le sedi disagiate.
La sensazione è che i due alleati parlino lingue diverse. Sulla scuola (contestata anche l'assunzione diretta degli insegnanti da parte delle Regioni), ma anche su altri temi, dai beni culturali all'ambiente, sui quali resta la distanza rispetto all'assegnazione delle competenze. Il senso della frattura che si è creata lo rende lo stop al tavolo deciso senza fissare un'altra data e la discesa in campo dei due leader a colpi di slogan polemici. «Un bambino - attacca Luigi Di Maio - non sceglie in quale regione nascere: noi dobbiamo garantire l'unità della scuola così come l'unita nazionale». «Se c'è qualcuno che sabota, qualcuno che l'autonomia non vuol farla Allora si parli chiaro», avrebbe replicato furente Salvini al termine del vertice.
E ad allargare lo scontro, ieri è arrivato lo stop in Commissione per otto emendamenti al decreto Sicurezza bis, che ora potrebbe slittare. «Sono norme sul vestiario dei poliziotti e gli straordinari per i vigili del fuoco - ha incalzato Salvini - proposte già finanziate da accettare oggi».
Il presidente della Camera Roberto Fico replica sarcastico rimandando a problemi procedurali: «Salvini è confuso sul funzionamento della Camera, se teneva alle forze dell'ordine poteva inserirli nel decreto». Fonti della Lega fanno sapere che il problema è politico. E il sottosegretario Nicola Molteni rincara: «Chi si oppone è iscritto al partito anti Polizia». Per il mediatore Conte ora è dura.
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