La trasgressività si è normalizzata

La trasgressività si è normalizzata

A dirla tutta, se nell'ultimo mezzo secolo avessero denunciato ogni canzone sulle droghe, i tribunali sarebbero pieni di cantanti. Lou Reed nei Velvet Underground cantava «eroina sii la mia morte» (Heroin, 1967). In Brown sugar (sinonimo di eroina) e Sister morphine i Rolling Stones hanno fatto chiari riferimenti, anche se mai spiegati del tutto. E in Cocaine di J.J. Cale (portata al successo da Eric Clapton), ci sono versi come «se hai avuto cattive notizie e vuoi cacciar via la tristezza, cocaina». E poi Beatles, Dylan, Ramones e, in Italia, Fabrizio De André (Il cantico dei drogati) e Articolo 31 (Ohi Maria) tanto per fare solo qualche esempio. Insomma, non è una novità ed è difficile capire quanto questi brani siano stati motore della tossicodipendenza o semplici specchi della realtà. Ma oggi l'indagine su Sfera Ebbasta per istigazione all'uso di sostanze stupefacenti arriva in un contesto clamorosamente diverso, e non soltanto perché in Italia negli anni 60 o 70 i testi in inglese non erano così chiaramente percepiti come oggi. Intanto l'età del pubblico, che è molto inferiore a quella di chi ascoltava gli Stones o i Jefferson Airplane: ai concerti di Sfera Ebbasta e di tantissimi altri rapper/trapper ci sono anche bambini di otto o dieci anni. E ci vanno accompagnati dai genitori. Per quattro decenni, la famiglia e la scuola sono stati generalmente un filtro, hanno provato a spiegare (spesso male) la differenza tra una provocatoria espressione artistica e una consigliabile ricetta di vita. Ai concerti «proibiti» si andava spesso di nascosto o contro la volontà di papà e mamma. Ora questi ammortizzatori paiono scarichi e i messaggi trasgressivi delle canzoni assumono i tratti della normalità.

E se una denuncia sembra esagerata (senza far paragoni, è come denunciare

Quentin Tarantino per istigazione a delinquere ai sensi dell'art 414 codice penale), può servire da stimolo ad arginare la gratuità estetica di certi riferimenti riservati a un pubblico che non ne sa percepire la reale portata.

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