
La tregua su Gaza è vicina, vicinissima, anzi no. È stato un lunedì di speranza e di parziali retromarce in Medio Oriente, in cui pochi ci hanno davvero capito qualcosa. In serata il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto in un'intervista televisiva: «Spero che sia possibile fare un annuncio sugli ostaggi oggi (ieri, ndr) o domani (oggi, ndr)», facendo immaginare un accordo imminente con Hamas. Peccato che dopo pochi minuti il suo ufficio sia stato constretto a precisare come «oggi o domani» fosse un'espressione retorica per dire che «si sta lavorando intensamente e che, anche se non ci sarà un accordo oggi, non ci arrenderemo». «Stiamo facendo pressione su Hamas, anche tramite Witkoff, e speriamo in sviluppi», ha concluso l'entourage di Bibi.
Ecco, Hamas. Ieri l'organizzazione terroristica palestinese era sembrato accettare il piano per una cessazione del fuoco proposto dall'inviato speciale del presidente degli Stati Uniti, Steve Witkoff. È stata Ynet a dare la notizia, aggiungendo dettagli circa la possibile liberazione di 10 ostaggi israeliani (cinque in vita e cinque cadaveri) e un cessate il fuoco di 70 giorni nel corso dei quali si terrebbero ulteriori negoziati per rendere definitivo il temporaneo con gli Stati Uniti come garanti.
Bene, benissimo. Peccato che dopo circa un'ora sia stato lo stesso Witkoff a smentire la buona notizia con toni di chi non sta allo allo scherzo. Il giornalista di Axios Barak Ravid, dopo aver sentito Witkoff, riferisce che «Israele accetterà un cessate il fuoco temporaneo con la liberazione di metà degli ostaggi vivi e metà dei deceduti e che conduca a negoziati concreti per trovare una strada verso un cessate il fuoco permanente, che ho accettato di presiedere» e che Hamas non lo ha ancora accettato. Tutt'altro. «Quello che ho visto da Hamas - avrebbe detto l'uomo di Trump in Medio Oriente - è deludente e completamente inaccettabile».
Eppure alla Casa Bianca continuano a essere ottimisti sulla possibilità di una fine della guerra, ma basandosi sulle pressioni su Israele. Ieri il giornale israeliano Haaretz ha scritto di un messaggio che Witkoff avrebbe consegnato per conto di Trump al ministro israeliano degli Affari strategici Ron Dermer durante il loro incontro a Roma a margine dei colloqui tra Iran e Usa sul programma nucleare di Teheran venerdì scorso. Lo staff di Dermer, uno dei più stretti collaboratori di Netanyahu, non ha confermato, ma di certo c'è che Trump non vede l'ora di annunciare la cessazione degli attacchi a Gaza e che moltiplicherà il suo pressing nei prossimi giorno.
Pressing nel quale si stanno impegnando anche alcuni alleati storici di Israele in Europa. Che non sembrano più intenzionati a garantire a Netanyahu un appoggio incondizionato dopo le stragi quotidiane degli ultimi tempi. Ieri il cancelliere tedesco Friedrich Merz nel corso di una conferenza a Berlino ha confessato di «non riuscire più a comprendere l'obiettivo dell'esercito israeliano a Gaza». «Attaccare la popolazione civile come è stato sempre più il caso negli ultimi giorni - ha proseguito Merz - non può più essere giustificato con una lotta contro il terrorismo di Hamas. Due volte negli ultimi due anni ho detto al primo ministro israeliano a porte chiuse: non esagerate. Ora lo dirò anche più chiaramente». Di accanimento parla anche il ministro italiano degli Esteri Antonio Tajani, che ha Restart ha detto: «Siamo amici di Israele ma diciamo ora basta guerra, ora è il momento di fare la tregua. Israele ha vinto la guerra contro Hamas» e ora «la popolazione civile di Gaza sta soffrendo troppo».
Si unisce anche il ministro della Difesa Guido Crosetto: «Netanyahu è una persona che, secondo me, sta sbagliando tutto. La guerra legittima e sacrosanta ad Hamas ha dei limiti che ha superato». Nella guerra in cui hanno tutti torto, a rimetterci sono solo i civili di Gaza che muoiono come mosche.