Politica

Il triste gioco di guardare al colore dei violenti

L'università di Bologna non è la Cgil, d'accordo, e il Collettivo universitario autonomo (Cua) non è Forza nuova, ma cosa cambia?

Il triste gioco di guardare al colore dei violenti

L'università di Bologna non è la Cgil, d'accordo, e il Collettivo universitario autonomo (Cua) non è Forza nuova, ma cosa cambia? Tre fatti avvenuti nella «città più progressista d'Italia». Il primo. Una trentina di autonomi del Cua fa irruzione nei locali del rettorato, interrompe una riunione del Cda, urla slogan politici, appende un cartello denigratorio al collo del rettore Ivano Dionigi mentre il poveretto, atterrito, li supplica: «Le mani addosso no, per favore». Il secondo. Per contenere l'accesso di sbandati, spacciatori e militanti dei centri sociali, vengono installati dei tornelli all'ingresso della biblioteca di Lettere. Per oltrepassarli occorre essere iscritti all'università. La reazione è violenta. Al grido «riprendiamoci la nostra biblioteca», i militanti del Cua divelgono i tornelli e devastano i locali della biblioteca impedendone l'uso agli studenti. A pochi metri di distanza, in piazza Verdi, un murales considerato intoccabile celebra la «vittoria» dei centri sociali contro la polizia negli scontri del maggio 2013. Il terzo fatto è analogo al primo. Una squadraccia del Cua fa irruzione nella facoltà di Scienze politiche, interrompe la lezione del professor Angelo Panebianco, insulta e minaccia l'autorevole politologo di cultura liberale. Un nemico del popolo. In quello come nei casi precedenti il giornale della città, il Resto del Carlino, sollecita diversi professori dell'Alma Mater a prendere posizione in difesa della legalità, del diritto allo studio, del pluralismo delle opinioni. Nessuno accetta di esporsi. Qualcuno perché d'accordo con i violenti, la maggior parte per paura. Nessuna eco mediatica, ovviamente, nessuna richiesta di scioglimento del Cua, nessuna manifestazione di solidarietà. Fatti analoghi ne sono accaduti e ne accadono a centinaia in tutt'Italia.

È vero, in questi casi i «cattivi» non si dichiarano fascisti. Ma cos'è il fascismo per gli antifascisti se non violenza e prevaricazione? E che differenza c'è, allora, tra i teppisti in camicia nera di Forza Nuova e quelli in camicia rossa del Cua? La differenza, evidentemente, la fa solo il colore della camicia. Ma se la camicia è nera, giornali in crisi di lettori e partiti in crisi di identità soffiano sul fuoco e si mobilitano in difesa della democrazia. Se è rossa...

sono solo ragazzi.

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