Troppi, incivili e ignoranti. Montagne invase dai cafoni

Smartphone in mano, sneakers ai piedi, niente caschi né attrezzatura. È la linea sottile tra avventura e stupidità

Troppi, incivili e ignoranti. Montagne invase dai cafoni

Se il fetore da selfie e da scarpe da ginnastica si è fatto largo ai campi base dell'Everest, figurarsi che cosa può succedere tra le rocce e le creste nevose delle nostre Alpi: spingendosi, il fetore, con quel propellente universale che è l'arroganza dello sprovveduto e che lambisce anche i ghiacciai, i bivacchi, profana i sentieri con sandali firmati, si fotografa con l'imbrago slacciato perché sennò rovina l'outfit. È lui il nuovo escursionista mordi e fuggi, il cretino 2.0, quello che fa tremare i rifugisti più dei temporali di luglio perché non sa aspettare, non sa ascoltare, non sa dove si trova, non sa niente, è percentualmente stupido come lo è il genere umano ovunque si manifesti, ma lui è in montagna, così diventa scemo due volte. Ieri il capo del soccorso alpino nazionale spiegava che ben 83 morti solo in luglio non li aveva mai visti, gente che scala i quattromila con le sneakers, che fa le ferrate con la figlia in braccio, che chiama i soccorsi per stanchezza e poi non vuole neppure pagare. Il caso del Rifugio Cavazza dice molto: parliamo di un'icona del Gruppo del Sella (Dolomiti, 2585 metri) dove il gestore, Renato Costa, in 45 anni ne aveva viste tante, ma mai nessuno che sbagliasse sentiero e allora tornasse furioso al rifugio e sfondasse la porta a calci, insultando chi gli aveva dato le giuste indicazioni che lui era stato incapace di seguire. Perché sempre dura, la montagna: anche quando è ufficialmente facile. Bisogna essere capaci, non è quasi mai dritta, segnalata, elementare e pronta per Instagram.

Sui social vedi foto di escursionisti che arrancano sulla Marmolada con le Converse ai piedi, o famiglie intere con bambini spalmate su ferrate verticali senza imbrago né kit di moschettoni né casco né niente, magari con la prole in braccio come bambolotti mentre papà cerca di domare una parete Eea (Escursionisti esperti con attrezzatura) con orologi Gps che non sanno leggere, ergo non conoscono i guai dell'altitudine, le nevi perenni, la variabilità meteo in montagna, non conoscono niente.

La linea sottile tra avventura e stupidità non è una linea, spesso è semplicemente una corda, e l'idiota neppure se l'è portata dietro come fa l'esperto magari per non usarla: però lui ce l'ha, invece il cretino 2.0 (italiano ma anche tedesco, olandese, francese, ceco, croato) sembra passare frettolosamente sui sentieri con lo smartphone in mano e la convinzione che la montagna sia una grande scenografia gratuita: del resto, quel giorno, era indeciso se salire sulla Grigna o andare all'outlet di Serravalle. Così, nel 2024, il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico ha compiuto 12.063 interventi e ha soccorso 11.789 persone: circa 500 erano già morte, 7.018 ferite, 4.187 rimaste illese in situazioni che non avrebbero mai dovuto creare. La causa ufficiale si chiama "escursionismo", che un settore di Dechatlon. È l'escursionismo massificato per cui un rifugista del Cavazza ha piazzato un provocatorio tornello sul Pisciadù (Dolomiti) per regolamentare l'accesso e dare un senso del limite a chi lo percepisce come un'offesa, tipo i due ventenni francesi che sono stati tratti in salvo sulla Marmolada dopo esser saliti (averci provato) in jeans e basta: hanno chiamato i soccorsi a metà via perché erano incapaci di proseguire e troppo spaventati per scendere, un classico. Potremmo citare decine di casi, compresi altri che sono letteralmente spariti durante un banale sentiero escursionistico con pendenza e terreno umido e magari zaino sbilanciato, gente che si perde o che si fa abbattere da una raffica di vento o scivola su una pietra instabile: tu vallo a sapere, in questo luglio, come sono morti certi tizi trovati cadaveri dopo esser partiti dal Rifugio Mulaz o dal Rosetta. Puoi solo censire i vivi e scoprire che il 30 per cento delle richieste di Soccorso Alpino, nel 2024, è stato causato da turisti impreparati fisicamente o psicologicamente: partiti tardi, ridicolmente vestiti, spesso senz'acqua, gente che il giro delle Cime di Lavaredo pensava fosse un giretto al parco. Molti si perdono per nebbia. Moltissimi per testardaggine e sopravvalutazione di se stessi.

Esplorare i propri limiti è una cosa, non averne idea è un'altra. Gli imbecilli li riconosci dalle marche del vestiario o grazie a venti secondi di colloquio: bastano per capire che non hanno letto mezza relazione, nessun bollettino, non sanno i tempi, i gradi, i dislivelli, non dico saper leggere le nuvole, ma almeno sapere perché un casco o i guanti servono anche d'estate. Nel 2023, il 43 per cento dei soccorsi è stata causato da cadute banali o dal fatto che qualcuno non riusciva più a proseguire. In Piemonte, Val d'Aosta, Lombardia e anche Liguria è pieno di gente che parte per rifugi (Quintino Sella, Chabod, Mantova) e non arriva mai, o arriva che è pronta per il ricovero.

Quello che in pianura chiamano overtourism in montagna diventa overtourism ignorante, perché è la trasformazione dell'alpinismo in coreografia, l'invasione rumorosa dei burini e degli incapaci, è la sordità al pericolo degli asini

e dei ciechi davanti alla bellezza vera. Quando la montagna presenta il conto allora si chiama il 112, si invia la posizione WhatsApp, si chiede "Potete venire a prendermi?", e però "no" risponderà presto tardi qualcuno.

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