"Uccideremo Khamenei". E lui tratta la fuga a Mosca

Netanyahu minaccia: "La sua morte rappresenterebbe la fine del confIitto". Il dittatore cerca un rifugio in Russia come Assad

"Uccideremo Khamenei". E lui tratta la fuga a Mosca
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Ali Khamenei finirà come Saddam Hussein, il dittatore iracheno catturato e impiccato dopo un regolare processo nel 2006? O come il leader della rivoluzione libica Moammar Gheddafi, braccato dai suoi oppositori e trucidato al culmine di una caotica guerra civile nel 2011?

Oppure sarà destinato a raggiungere a Mosca, per salvare la vita sua e della sua famiglia, altri due alleati di ferro di Vladimir Putin, l'ex presidente ucraino Viktor Yanukovich costretto alla fuga dal suo stesso popolo nel 2014 e l'altro dittatore mediorientale, il sanguinario siriano Bashar el-Assad, scappato in Russia con la cassa dello Stato nello scorso dicembre?

Più gli israeliani stringono il cerchio su Teheran e più si capisce che Benjamin Netanyahu punta alla demolizione del regime islamico non meno che allo smantellamento del suo programma nucleare. In un'intervista ad Abc News il premier israeliano non ha escluso la possibilità di uccidere la Guida suprema dell'Iran: «Non sarebbe un'escalation del conflitto, ma la fine del conflitto». Netanyahu ha descritto la guerra in corso all'Iran come l'attacco decisivo alla testa del serpente che in questi anni ha assediato e aggredito Israele: un serpente le cui spire sono composte da Hamas, Hezbollah, dagli Houthi yemeniti, dalle milizie sciite irachene, dal regime filoiraniano e filorusso di Assad da poco collassato. E se l'Iran è la testa di questo serpente, l'ayatollah Ali Khamenei al vertice della Repubblica Islamica da ben 36 anni ne rappresenta i denti veleniferi. Rimossi i quali, sperano a Gerusalemme, l'Iran potrebbe tornare a essere un Paese normale, perfino amico di Israele.

Dopo soli quattro giorni di efficacissimo attacco israeliano, il velenoso Khamenei è isolato. La tentazione di mozzare la vera testa del serpente nel momento della sua massima debolezza, mentre il suo regime è in sostanza costretto a chiedere a Trump di negoziare per salvarsi, è per Netanyahu fortissima.

Circolano diverse voci sul destino di Khamenei. Che sia braccato dagli israeliani è certo, tanto che risulta da due giorni rifugiato in un bunker sotterraneo con la sua famiglia (certamente pensando alla fine del suo emissario libanese Nasrallah, lo sceicco capo di Hezbollah, morto nello scorso settembre sotto le macerie di un altro bunker a Beirut, bombardato dagli israeliani). Una fonte diplomatica mediorientale afferma che Netanyahu avrebbe considerato di farlo uccidere durante la stessa prima notte di attacchi su Teheran. Difficile dire. Anche Ali Shamkhani, il consigliere e negoziatore di Khamenei dato per morto sotto le prime bombe, sarebbe in realtà sopravvissuto e in cura in un ospedale.

Si dice anche che Donald Trump avrebbe posto a Netanyahu un veto personale all'assassinio della Guida Suprema del regime iraniano. E questo non solo per evitare di passare una linea rossa che metterebbe a rischio la vita di qualsiasi leader occidentale, ma anche perché pur nella evidente confusione delle sue linee di politica estera uno dei pochi punti saldi del trumpismo è la dichiarata intenzione di evitare che gli Stati Uniti si ritrovino coinvolti in rovinosi conflitti.

Netanyahu nega questo veto con frasi sibilline e usa invece parole chiarissime per sostenere l'opportunità di eliminare Khamenei: morto lui ha detto alla Abc la guerra non si aggraverebbe, semmai finirebbe subito.

Non sorprende che Khamenei stia brigando per ottenere per sé e per alcuni fedeli e familiari un salvacondotto per rifugiarsi a Mosca, proprio presso quel Putin che Trump vedrebbe bene come mediatore tra Iran e Israele. A proposito di confusione.

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