Sono «arrabbiati», ma se lo aspettavano. I fratelli e i genitori di Niccolò Savarino accolgono con amarezza, non con stupore, la notizia dell'affidamento in prova ai servizi sociali di Remi Nikolic, il giovane rom che investì e uccise il vigile milanese. D'altra parte, lo sanno, la concessione della misura alternativa al carcere è prevista per legge. Semmai, sottolineano ancora una volta, la vera ingiustizia sta nella «pena bassa» inflitta a Nikolic per il reato di omicidio volontario: nove anni e otto mesi di reclusione.
Nikolic, che oggi ha 23 anni, ha scontato nel carcere minorile Beccaria di Milano circa cinque anni e mezzo. Cioè oltre metà della condanna che la Cassazione gli ha inflitto in via definitiva nell'aprile del 2015 (il fine pena è il 1° marzo 2021). La decisione dell'affidamento ai servizi sociali è del Tribunale per i minorenni, su richiesta del difensore David Russo. Il 12 gennaio 2012, quattro mesi prima di compiere 18 anni, il ragazzo travolse e uccise alla guida di un Suv l'agente di polizia locale 42enne. Savarino era a bordo della propria bicicletta in via Varè, zona Bovisa, nella prima periferia. Venne agganciato dall'auto e trascinato per 200 metri. Nikolic fuggì verso la Bosnia, ma venne arrestato al confine ungherese tre giorni dopo. In primo grado la condanna era stata di 15 anni, il pm ne aveva chiesti 26. I giudici minorili avevano concesso le attenuanti generiche, anche sulla base del «contesto di vita familiare» dell'imputato, «caratterizzato dalla commissione di illeciti da parte degli adulti di riferimento». Nel dicembre 2013 la sezione minorenni della Corte d'appello aveva ridotto la pena, poi confermata in Cassazione, infliggendo il minimo previsto per un omicidio volontario commesso da un minorenne.
In carcere, scrivono nell'ordinanza i giudici presieduti da Emanuela Gorra, Nikolic ha conseguito la licenza media inferiore e «la qualifica triennale di operatore del legno». Ha svolto lavoro all'esterno con un'associazione teatrale, la stessa con cui continuerà il proprio percorso, e ha ottenuto una «borsa lavoro» presso un laboratorio del Teatro alla Scala. L'affidamento, si legge, può «rivelarsi utile per favorire il processo di integrazione sociale del condannato e nel contempo impedire la commissione di ulteriori reati». Per il collegio, il giovane ha dimostrato un «autentico bisogno di riparazione» e nei numerosi permessi premio di essere affidabile. Ha inoltre confermato di «volersi distanziare dallo stile di vita del contesto familiare che in passato aveva fatto proprio e di voler effettuare in modo non strumentale scelte tali da esprimere la sua volontà di cambiamento». Di avviso opposto i familiari di Savarino. «Non ha mai chiesto scusa a nessuno della famiglia - dicono attraverso il legale Gabriele Caputo -, le scuse le ha presentate una volta sola in primo grado ma al giudice. E invece ha sempre negato di aver voluto uccidere e da lui non è arrivato mai un pentimento sincero». Ai microfoni di Telelombardia il fratello Carmelo ha aggiunto: «Questo per noi è come un secondo omicidio. Se non ci pensa la giustizia degli uomini, speriamo che ci pensi quella divina». E l'avvocato Caputo: «I parenti erano consapevoli di come sarebbero andate le cose dopo una pena così bassa». Lo sviluppo dell'esecuzione della pena, «dalla semilibertà che aveva già ottenuto all'affidamento, è normale». In Appello, conclude il legale, «l'imputato è stato trattato come una vittima più delle vittime stesse e quella pena è stata una beffa per la famiglia che si è sentita tradita dalle istituzioni». Anche la politica, trasversalmente, protesta. Per il sindaco Giuseppe Sala, la scarcerazione di Nikolic è «umanamente inaccettabile».
Il deputato leghista Paolo Grimoldi attacca: «Stiamo rimettendo in libertà un assassino. E stiamo inviando l'ennesimo messaggio sbagliato a questa gente, ovvero che in Italia si può fare tutto». Infine l'eurodeputato di Fi Stefano Maullu: «Una decisione sciagurata e un chiaro incentivo alla criminalità».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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