Economia

Unicredit demolita Deutsche Bank difesa Ecco Italia-Germania

Germania-Italia, ancora. Oggi, però, non parliamo di calcio o di auto, ma di banche

Unicredit demolita Deutsche Bank difesa Ecco Italia-Germania

Germania-Italia, ancora. Oggi, però, non parliamo di calcio o di auto, ma di banche. L'altroieri il boss del primo istituto tedesco, Deutsche Bank, ha annunciato ai suoi centomila dipendenti che il terzo trimestre si è chiuso con una perdita di 6,2 miliardi (due volte quanto incassa il Tesoro italiano dalla tassa sulla prima casa). Nei prossimi mesi un lavoratore su quattro rischia di essere licenziato. Eppure l'economia tedesca tira. A perdere è la divisione investimenti (e vabbè, può succedere), i derivati «in pancia» (e vabbè può succedere), ma a gravare sul rosso sono anche 2,5 miliardi pagati ad aprile per aver truffato il mondo barando sui tassi di interesse interbancari (il Libor). Pizzicati dagli americani, hanno pagato (insieme ad altre banche) una bella multa. Il modello finanziario tedesco è un colabrodo e piuttosto truffaldino, ma il sistema-Paese sa che lo sputtanamento fuori dai confini non conviene: si stringe intorno alla banca e, con dosi massicce di chemioterapia, cerca di estirpare il cancro.

Stesso giorno, ma in Italia. Il vicepresidente della prima banca di dimensioni multinazionali, e cioè Fabrizio Palenzona di Unicredit, viene indagato per una faccenda che lo ricondurrebbe alla mafia, addirittura al superboss Messina Denaro. I giornali, sulle carte della procura, scrivono che avrebbe facilitato un piano di rientro debitorio di un immobiliarista che, a sua volta, sarebbe vicino a Cosa nostra. Apriti cielo. La mafia, Palenzona, Unicredit (che, a differenza di Deutsche, ha chiuso un ottimo trimestre in positivo), sputtanamento globale per un'indagine che è solo all'inizio. Sui giornali le prime intercettazioni e la macchina del pissi pissi personale.

Occorre, però, scavare almeno un pochino. Ma subito. Per evitare che il titolone di oggi non resti nella memoria collettiva a fronte di un eventuale non luogo a procedere o assoluzione di domani che nessuno si filerà. È inutile qua ricordare il caso Orsi (Finmeccanica) o Scaroni (Eni) o Tronchetti (Telecom-Pirelli), tutti uniti da vicende giudiziarie che alla fine si sono risolte, ma al prezzo di anni di tribolazione. E allora vediamo.

1.Il piano di rientro di cui avrebbe goduto l'immobiliarista trapanese (Andrea Bulgarella) non c'è mai stato. Insomma non esiste il fatto;

2.Bulgarella ha ottenuto i prestiti (60 milioni) non da Unicredit, ma da Banco di Sicilia e Banca di Roma, prima che entrassero nel gruppo milanese. Se mai si dimostrasse (se mai...) che l'imprenditore è vicino ai mafiosi, il problema è di chi gli ha prestato i soldi nel 2000 o di chi, eventualmente, sta trattando un piano di rientro?

3.Palenzona dice di non aver mai conosciuto, né parlato con questo imprenditore (possiamo non crederci, ma vedrete che conta poco);

4.Come migliaia di imprenditori del settore immobiliare anche Bulgarella è in crisi e la sua posizione sarebbe incagliata dal 2008. Unicredit ha sofferenze per 50 miliardi di euro (60 milioni è quanto vale Bulgarella). Per una banca è meglio fare lo sconto su qualche interesse che compromettere il rientro dell'intero capitale. E sarebbero contestati 5 milioni di interessi di mora da abbattere che, peraltro, come detto, la banca non ha ancora deciso di tagliare. Ma di che stiamo parlando?

La sintesi è che il vicepresidente di Unicredit e, ciò che più conta, una delle poche istituzioni finanziarie italiane rischiano di passare per colluse con la mafia per un piano di rientro mai approvato a favore di un imprenditore in crisi come tanti e che fino a prova contraria non è un mafioso.

Ci sono molti buoni motivi per attaccare il sistema creditizio italiano, ma l'arma di queste ore rischia di sollevare solo un gran polverone e parecchie vittime collaterali.

Ragionevolmente qualcuno potrà ritenere che questa zuppa sia sbilanciata nella difesa di Palenzona e dell'immobiliarista trapanese. E laicamente possiamo anche sospettare di essere eccessivamente in buona fede. Ma in un panorama in cui contano solo le carte delle procure e dell'accusa, forse converrebbe sempre considerare anche la voce e la posizione dei perquisiti, degli indagati, dei colpevoli mediatici. Troppo spesso, nel passato, si sono rivelati innocenti. Mentre noi ci massacriamo con il sospetto, i nostri vicini e concorrenti si autoassolvono per la superiore ragione di Stato o di sistema.

Così non va.

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