L'analisi del G

La verità, vi prego sulla rivoluzione verde. Gli italiani scettici su scenari e informazione

Un sondaggio Ipsos svela che appena il 17 per cento giudica equilibrato e attendibile il discorso pubblico sulla transizione ecologica. È un fatto sconfortante perché in democrazia si sceglie su dati affidabili

La verità, vi prego sulla rivoluzione verde. Gli italiani scettici su scenari e informazione

Siamo fieri della nostra democrazia, ossia della libertà di cui gode ogni singolo cittadino di scambiare le proprie idee e in base a esse esprimere un voto e orientare la politica. Tanto orgogliosi che non perdiamo occasione di giudicare e bacchettare, se del caso, quei Paesi i cui abitanti non godono della medesima libertà. L'ebbrezza di questa cima della civiltà sociopolitica ci porta a identificare l'essenza della democrazia nelle quantità di voti che si raccolgono attorno a questa o quella idea, trascurando la qualità di quei voti, che è pari all'informazione, alla conoscenza di cui dispone chi lo esprime. Sul punto è bene chiarire che la libertà di espressione, per cui nessuno viene incriminato per le cose che dice, non è affatto garanzia di informazione compiuta e completa. Il canale di diffusione delle idee, il sistema mediatico, può tenere alcune idee sopra la linea di galleggiamento e relegarne altre all'immersione perenne: uno parla, sì, ma di fatto è muto. I social media stanno amplificando entrambe le situazioni. Ora caliamoci nella realtà. In questi anni gli italiani e gli europei sono alle prese con la questione energetica, ossia il propellente di tutte le attività necessarie alla sopravvivenza e al benessere. Insieme all'acqua e all'accesso al mare, l'energia è una delle priorità di una comunità, da sempre, come ancora nell'ultimo secolo hanno confermato la campagna di Russia di Hitler, l'attacco giapponese a Pearl Harbor e i conflitti mediorientali. Minimo comun denominatore: il petrolio.

La crociata viene da lontano, dall'America e dalla fine del secolo scorso, quando le Cassandre presagivano una New York presto sommersa dalle acque. Il fatto che non sia successo, certamente per pura fortuna, non ha impedito a milioni di persone di manifestare arringate da Greta, la scienziata adolescente esperta di economia e geo-politica. Nonostante il tema fosse cruciale per il benessere, tutti i capi di Governo si sono accodati a quella che possiamo definire una gigantesca espiazione di massa. Di quali colpe? Questo non importa. L'Europarlamento e la Commissione usciti dalle urne sull'onda gretina hanno avviato la società e l'economia europea, già non troppo vivaci né toniche, sulla strada del Green Deal, la missione con cui il continente più irrilevante e meno nocivo per il clima intende comunque salvare il pianeta. E pazienza se non ci riesce, purché si faccia tanto male da rimanerne fiaccato.

Cosa ne pensano gli italiani, dopo una pandemia, una guerra che ha sullo sfondo l'abbandono del gas russo per strapagare quello liquido e la recessione tedesca dovuta anche alla rinuncia al nucleare?

Oltre due terzi sono d'accordo, secondo un recente sondaggio condotto da Ipsos per conto di AgitaLab, un think tank. Sì, è vero che il 41% pone la condizione che «ciò non abbia ricadute sull'occupazione e sul benessere degli europei», ma è altrettanto vero che il 28% afferma di concordare «nonostante le ricadute sull'occupazione e sul benessere degli europei». Gli stessi equilibri si ritrovano alla domanda sulle «case green»: due terzi sono favorevoli, anche se il 44% a patto «che la ristrutturazione non pesi sul loro bilancio familiare». Sembra dunque che ci sia una luce verde generale sulle politiche green, pur nella solita filosofia assistenziale socialista: i soldi ce li deve mettere lo Stato. Eppure, sulle auto elettriche emergono percentuali che inducono a una riflessione più approfondita. Intanto i favorevoli scendono sotto la metà del campione, rappresentativo della popolazione adulta, di cui oltre un terzo «solo se il maggior prezzo sarà coperto da incentivi». L'altra metà si dichiara contraria, un po' perché «non utile a fermare il cambiamento climatico» e un po' perché «i costi sarebbero superiori ai benefici». Ma come? Tanti contrari proprio all'auto elettrica, su cui si insiste in modo ossessivo da oltre un decennio e che oggettivamente è un problema minore rispetto al depauperamento del bene supremo, la casa? Non sarà che proprio la sua attualità e la centralità nella comunicazione abbiano portato tanti ad approfondire, ad acquisire maggiore conoscenza su come stiano effettivamente le cose?

Allora, e molto opportunamente, il sondaggio ha chiesto un'opinione proprio sulla qualità dell'informazione. Secondo quattro italiani su dieci il dibattito sul Green Deal è «sbilanciato a favore dei promotori della Transizione Energetica e le opinioni contrarie sono poco considerate». Per il 20% di essi invece «è sbilanciato a favore dei negazionisti climatici e di chi fa resistenza al cambiamento». Appena il 17% ritiene che sia equilibrato ed è questo il dato più sconfortante, perché in democrazia i cittadini decidono a maggioranza le scelte della politica, in base ai loro valori e interessi, e la qualità dell'informazione è fondamentale affinché sia davvero così.

La prova che ci sia un difetto di informazione viene ancora dal sondaggio. Di quelli che dichiarano che acquisterebbero un'auto elettrica, uno su sei, ben il 60% adduce la motivazione che è ecologica e contribuisce a fermare il cambiamento climatico. Ma la realtà, di fonte Europarlamento, è che se anche tutte le auto circolanti in Europa diventassero improvvisamente elettriche, per magia, le emissioni di CO2 diminuirebbero dello 0,9%. In pratica, i fatti indicano che la conoscenza su cui i cittadini fondano la loro opinione è falsa.

In conclusione, e tornando al tema generale, noi siamo abituati a considerare la democrazia per la sua valenza interna alla società che l'adotta: l'Italia è una repubblica democratica. Perfetto, le nostre cose le decidiamo così. Solo che adesso non si giocano solo campionati nazionali ma ci sono pure i Mondiali, in cui ogni Stato o gruppo di Stati compete con altri. Quando alcuni di questi, magari anche importantissimi, decidono con altri sistemi non democratici l'impatto per le democrazie può essere devastante. Sì, perché queste ultime si muovono in base alla maggioranza emersa dalle urne, la quale a sua volta deriva dalla qualità dell'informazione che i cittadini avranno ricevuto. Viceversa, in una dittatura o autocrazia o democrazia non liberale che dir si voglia, l'orientamento popolare pesa il giusto e non riesce a determinare le decisioni politiche. Semmai è il potere che manovra l'informazione e con essa il consenso.

Detto in parole semplici, sull'informazione noi ci giochiamo tutto, gli altri no. Pertanto diventa vitale che sia di qualità, ben più che altrove.

Perché la qualità del nostro voto e delle nostre politiche non potrà mai essere superiore alla qualità dell'informazione di cui disponiamo.

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