Guerra in Ucraina

Il vero sogno di Putin è dividere il Paese sulla linea del Dniepr. Zelensky: "Ritiratevi"

Trattativa tutta in salita, ma indispensabile. Niente intesa su un cessate il fuoco rapido

Il vero sogno di Putin è dividere il Paese sulla linea del Dniepr. Zelensky: "Ritiratevi"

A giudicare da com'erano partiti non c'era neanche motivo d'incontrarsi. Volodymyr Zelensky pretendeva, oltre a un immediato cessate il fuoco, anche il ritiro russo da tutti i propri territori, Crimea e Donbass compresi. Vladimir Putin esigeva, invece, il riconoscimento della piena sovranità sulla Crimea con l'aggiunta della rituale richiesta di «de-nazificare» l'Ucraina e ridurla allo status di nazione neutrale. Insomma una resa senza condizioni seguita non solo dalla cacciata (o peggio) di Zelensky e dalla nomina di un governo provvisorio, ma anche dallo scioglimento del Parlamento e dalla riscrittura della Costituzione. Un obbiettivo ribadito durante il colloquio telefonico con cui il presidente francese Emmanuel Macron ha cercato d'imporsi come garante esterno e ridurre a più miti consigli il capo del Cremlino. Ma le reciproche, inconciliabili, pretese erano, in fondo, solo il punto di partenza per una trattativa indispensabile a entrambi.

Zelensky sa bene che il vantaggio - garantitogli, fin qui, da un'efficiente strategia comunicativa, amplificata dalla confusa e disordinata avanzata russa - rischia di venir cancellato, a breve, da una ben più rude spallata nemica. Dall'altra parte Putin è consapevole che un eccesso di brutalità su una Kiev tenuta sott'occhio da media e satelliti di tutto il mondo equivale a giocarsi un'altra fetta di reputazione. E non solo sul già compromesso scenario internazionale, ma anche su quello interno dove il pubblico russo guarda agli ucraini come a un popolo fratello. E così ieri nei saloni in stile sovietico messi a disposizione dal presidente bielorusso Alexander Lukashenko si sono dipanati ben tre round negoziali della durata complessiva di sei ore. Round singolari perché dominati dalla trattativa, separata ma a un piano superiore, allacciata da un Eliseo in contatto telefonico sia con il Cremlino sia con i bunker di Kiev. Una trattativa «ad personam» al temine della quale, secondo Macron, il presidente russo s'è impegnato a evitare nuovi attacchi a obbiettivi civili nella capitale e a lasciare aperto un varco, sull'asse a Sud-Ovest di Kiev, lungo il quale lasciar defluire la popolazione in fuga dalla capitale.

Nella sede ufficiale dei colloqui si sono intrecciate invece ipotesi di più ampio respiro. Vladimir Medinsky, il capo negoziatore russo vicinissimo a Putin, sarebbe stato incaricato di gettare le basi per accordi più complessi destinati ad abbozzare una soluzione per l'intero conflitto. Tra questi un progetto di divisione dell'Ucraina che lascerebbe al governo di Zelensky il controllo delle regioni a Ovest del fiume Dniepr. Quelle a Est, Kiev compresa, passerebbero invece nelle mani di un esecutivo benedetto da Mosca e privo di legami con Nato e Occidente. Difficile dire se la trattativa sia arrivata così lontano. Anche perché al momento Zelensky non ha nessun interesse a concedere vittorie ai punti a Mosca. Molto meglio, per ora, accordarsi su regole d'ingaggio come quelle strappate da Macron a Putin, che impedendo l'attacco a edifici civili finiscono, vista la complessità dei combattimenti urbani, con il legare le mani ai generali russi e regalare una assoluta superiorità alle unità ucraine. Anche perché garantire una via d'uscita dalla città equivale a permettere l'afflusso, in senso opposto, di armi, munizioni, viveri e rifornimenti. Ovvero tutto quel che permette di prolungare sine die la resistenza.

Certo la lunghezza dei colloqui e il riserbo sui temi affrontati fanno capire che qualcosa si è mosso. Il primo a riconoscere l'individuazione di «punti su cui è possibile trovare un terreno comune», è stato il russo Medinsky, che ha insistito sull'importanza di un nuovo incontro in programma «nei prossimi giorni al confine tra Polonia e Bielorussia». Ma fa specie anche la presenza nella sala dei negoziati del miliardario russo Roman Abramovich, trasformatosi dopo le dimissioni dal Chelsea, in una sorta di «terzo polo» della mediazione.

Un terzo polo capace, visti i buoni rapporti con entrambe le parti, di smussare le divergenze e gestire con stile commerciale una trattativa dominata altrimenti dallo spirito dell'odio e della guerra.

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