A tredici mesi esatti dal giuramento del governo, quello guidato da Matteo Renzi è ormai nei fatti una sorta di monocolore Pd. Un esecutivo nel quale è sempre più il premier il dominus indiscusso di qualsivoglia decisione. Non che prima Renzi non avesse in mano il pallino di tutte le scelte e di ogni nomina, ma di mese in mese l'ex sindaco di Firenze non ha fatto che rafforzare la sua leadership. Per merito suo, certo, ma anche per demerito degli avversari che gli hanno lasciato campo libero.
Il primo cedimento fu quello di Scelta civica, con l'esodo («evoluzione» la definirono loro con una certa dose di audacia) verso largo del Nazareno della pattuglia montiana. Fu così che anche il ministero dell'Istruzione guidato da Stefania Giannini finì in quota Pd. L'altro ieri è toccato ad un altro dicastero di peso come quello lasciato da Maurizio Lupi visto che l'interim delle Infrastrutture è andato dritto dritto nelle mani di Renzi. Di ministeri che contano che non siano appannaggio del Pd restano quello della Salute - ma Beatrice Lorenzin è considerata ormai organica ai democratici da tempo, tanto che è nelle loro liste che verrà candidata alle prossime elezioni - e quello dell'Interno. Al netto dei due tecnici Pier Carlo Padoan (Economia) e Federica Guidi (Sviluppo), l'opposizione interna a Renzi è dunque nelle mani di Angelino Alfano (senza dimenticare l'udc Gian Luca Galletti, ministro dell'Ambiente).
Rispetto a un anno fa, dunque, il premier è ancor di più un uomo solo al comando, peraltro - ed è forse questo il vero limite dell'attuale situazione - senza un'investitura popolare. Quello di Renzi, infatti, è il terzo governo consecutivo a non trovare la legittimazione nelle urne e il 40,8% delle Europee di dieci mesi fa sana solo in parte questo vulnus.
Certo, va detto che la responsabilità di una simile situazione sta anche nell'incapacità dell'opposizione di proporsi come valida alternativa. Anche dell'opposizione interna che ormai più che fare la fronda a Renzi sembra quasi volerlo puntellare. Dalla deriva a sinistra di Maurizio Landini fino all'agitazione scomposta della minoranza dem.
Ieri, per dire, all'assemblea della sinistra Pd all'Acquario romano Massimo D'Alema è arrivato ad accusare Renzi di gestire il partito con «un forte carico di arroganza». Un'obiezione legittima, ma che lascia sorridere tutti quelli che in questi anni si sono più volte scontrati con la celebre spocchia dell'ex segretario del Pds.
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