"Vigili da bruciare": scritto sui social non è reato

Per i giudici Facebook e Twitter «riproducono gli sfoghi da bar e hanno memoria breve»

"Vigili da bruciare": scritto sui social non è reato

Le motivazioni della sentenza ricordano un po' quelle con cui, quasi vent'anni fa, fu archiviata una querela per diffamazione nei confronti di Aldo Biscardi e di alcuni ospiti della sua trasmissione che avevano offeso gli arbitri: «I toni, la sede e la natura degli interventi depongono per essersi trattata di una tipica discussione da bar», scrissero i giudici evitando di fare il processo al Processo.

Se allora il nuovo bar virtuale poteva essere rappresentato da uno studio televisivo, oggi come ben sappiamo questa funzione viene svolta dai social network dove può dire la sua chiunque e anche senza invito. Questa almeno è l'opinione della Corte d'Appello di Trento, che ha assolto un uomo denunciato per aver insultato i vigili urbani lasciando un commento sulla pagina Facebook del quotidiano L'Adige.

I fatti: era marzo del 2015, era appena stata pubblicata una notizia su un episodio di particolare severità della polizia locale nei confronti di alcune persone che sostavano davanti a una scuola, e il signore in questione scrisse testualmente: «I vigili vanno bruciati vivi con la benzina... feccia». Fu querelato dal Comune e in primo grado condannato a venti giorni di reclusione e 2.500 euro di multa. Ma non si è arreso, ha impugnato quella sentenza ottenendone il ribaltamento in secondo grado.

Tanto per cominciare il suo avvocato, Elena Biagioni, ha puntato a smontare il legame tra il commento e l'imputato: la polizia postale non aveva indagato a causa della difficoltà di ricerca tramite server straniero e il profilo da cui era partito era stato poi disattivato. Il resto l'ha fatto la Corte d'Appello (presieduta dalla dottoressa Anna Maria Creazzo) stabilendo che la frase sotto accusa «non configura il reato contestato».

E qui passiamo alle motivazioni: si tratta - scrivono i giudici - «di una, per quanto rozza, espressione di pensiero e di libero esercizio di un'attività critica rivolta in maniera generica ad un'intera categoria, e non appare più offensivo , attesa la sua genericità, dell'altettanto raffinato andate a c... postato da un altro utente». Ma non finisce qui. Secondo la Corte il commento «non si distanzia molto dalle scritte ricorrenti sui muri della città», e cita l'esempio di un graffito offensivo contro guardie carcerarie e giudici «che campeggia da anni sui muri del vecchio carcere ed è stato ormai letto da molti più passanti degli utenti trentini che frequentano Facebook».

Già, Facebook: il contesto che annulla il reato.

«I social media riproducono quelli che una volta erano sfoghi da bar, amplificandone la portata e al tempo stesso sgonfiandone la carica offensiva in una agorà virtuale dalla memoria breve», concludono i magistrati. Per la gioia dei leoni da tastiera di tutta Italia...

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